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domenica 19 giugno 2016

Dell'opera di Christo

                                                  Antibes, acquarello su carta

Ho già espresso il mio parere altrove sull’arte e sugli artisti (vedi in questo medesimo blog il post Dell’arte e degli artisti, inoltre a chi volesse approfondire consiglierei la lettura dei miei ultimi due libri, Ecologia e Bellezza, Alinea 2004, e L’altro architetto, Casagrande 2014. Non mi lascio pero’ sfuggire l’occasione di commentare l’opera di Christo sul Lago d’Iseo visto che compare spesso su fb. Questa Land Art, cosidetta, non si puo’ ascrivere alle categorie dell’Arte, come del resto l’arte concettuale. Analizzando pero’ il fenomeno definito artistico ci chiediamo in che senso cosi lo si dichiara. Chi è artista dunque? La mia risposta: colui che discende nel profondo del suo animo e raggiunge il nocciolo di verità di natura estetica e sacra. Il suo operare è una necessità insita al suo essere nel mondo. Una necessità che lo spinge ad utilizzare la materia per trascenderla, cioè per raggiungere lo spirito. Non a caso ho equiparato l’artista allo sciamano delle culture arcaiche che aveva il compito di unire la terra al cielo e dare l’esperienza del trascendente. Questa concezione dell’arte è parte della Storia nonostante le diverse  sfumature con cui nei diversi periodi si colora. Le Muse nell’antica Grecia avevano appunto il compito di ispirare l’artista affinchè riuscisse in questa missione. Bisogna anche sottolineare che l’artista-sciamano deve per forza operare in piena libertà per ascoltarsi ed esercitare la sua sensibilità. Friedrich Schiller nel periodo romantico sottolinea questo affermando che l’arte crea da sè le sue regole. Questa affermazione pero’ ha dato la stura ad ogni manifestazione fuori dalle regole per cui tutti i pazzi si credono artisti. Quando nel dopoguerra la provocazione è diventata sinonimo di arte, e questa si è legata al potere dei mass-media, si è assistito ad ogni genere di performances di personaggi sostenuti da committenti interessati più che altro alla pubblicità che l’evento comporta. Per quanto mi riguarda faccio mie l’affermazione di Kant che “l’arte non puo’essere bella se non quando noi, pur essendo coscienti che è arte, la consideriamo come natura” e quella di Florenskij che “il vero artista sale nudo al mondo ultrasensibile e ne discende con verità ineffabili. La differenza dunque tra il folle presuntuoso e l’artista sta proprio nell’umiltà di quest’ultimo che sente di essere un canale della creatività universale. Ecco qui sottolineiamo che lo stigma dell’arte è la creatività intesa come capacità di creare più vita. Ora che possiamo dire della passerella sul lago di Christo? Crea si più vita, nel senso che attira ogni sorta di curiosi condizionati dai media, ma la natura del lago non ne viene certo beneficiata. Si puo’ affermare che Gardaland è arte nel senso suddetto? Direi di no, in buona sostanza si puo’ affermare che diverte alcuni, in specie i bambini, ma nessuno dei critici si sentirebbe di paragonarla alla Pietà Rondanini. Ordunque siamo seri! Di quale arte stamo parlando quando cosi definiamo l’opera di Christo, forse di blasfemia stiamo parlando, visto che Christo vuole paragonarsi a Cristo che camminava e faceva camminare sulle acque. Attenzione pero’, ho più volte affermato che la crisi ecologica è stata generata dalla crisi estetica dell’ultimo secolo e qui ne abbiamo la dimostrazione eclatante.   

venerdì 27 maggio 2016

Delle elezioni del sindaco di Milano

                                                 Giardini Montanelli, acquarello su carta

Sono prossime le votazioni per la scelta del sindaco a Milano. Come sempre succede ad ogni tornata elettorale si sprecano le ipotesi di vittoria. Vincerà il centrodestra o il centrosinistra? Ormai nessuno vuol più essere semplicemente o di destra o di sinistra. A parte la discutibile diversità fra le due coalizioni che, stando alla tradizione, dovrebbero portare al potere  nel primo caso il  cosidetto padronato, cioè chi il potere lo ha già, e nel secondo i diseredati e chi li rappresenta, pare che ciascuno accampi il diritto di ergersi a paladino del popolo. Le due anime si sono ormai confuse nell’aspirazione al potere tout court, anche perchè a ben dire, a parte la sinistra di Rizzo, anche la coalizione di centrosinistra  è formata dalla borghesia milanese più o meno illuminata e dai suoi managers. Quale differenza dunque sussiste tra uno schieramento e l’altro?  Si dice che bisogna guardare i programmi. Ma i programmi si somigliano: tutti vogliono mostrare di tenerci a risolvere i problemi dei cittadini, tutti i problemi e rendere gli elettori più felici. Vota per me e ti faro’ felice, potrebbe essere lo slogan di destra e di sinistra. Ma come? Più sicurezza, meno tasse, più assistenza, più lavoro, più...più di tutto insomma. Ambedue affermano di voler risanare le periferie, ognuno vuole più verde e meno traffico, tutti esibiscono onestà e coerenza. Ma di  queste promesse c’è possibilità che qualcosa si realizzi al di là delle parole? L’amministrazione uscente quando ha vinto le elezioni nel 2011ha festeggiato con musiche, peana e biciclettate, sembrava che più che elezioni democratiche avesse vinto una guerra  e fosse giunta l’ora della liberazione da un regime oppressivo durato un ventennio, ma alla fine ha deluso la maggior parte delle aspettative. A proposito ma la vogliamo finire di festeggiare una elezione come se fosse una partita di calcio vinta? Non vi è nulla da festeggiare ma da rimboccarsi le maniche, cioè prendere coscienza del lavoro da compiere per il benessere della comunità e lavorare di conseguenza tenendo presente le difficoltà che questo comporta. In primis non bisogna sottovalutare il sistema burocratico che ingabbia le innovazioni per sua natura essendo conservativo. Una riforma della burocrazia non sarebbe male, sia che venga da destra che da sinistra. L’amministrazione Pisapia ha dato l’impressione di schierarsi più dalla parte dei potenti che non dei cittadini comuni, si è vantata di cose decise e iniziate da altri, Expo, Porta Nuova, eventi vari della Moda, M4 e cosi via fallendo miseramente sulla tanto millantata partecipazione a causa di una comunicazione spesso arrogante e spocchiosa. Del resto uno dei suoi assessori più quotati si è dimesso. In buona sostanza ha dato l’impressione irritante del “ siamo bravi solo noi perchè siamo noi”, soprattutto da parte di assessori troppo giovani ed inesperti scelti con logiche dubbie. In sintesi, a parte i programmi corposi, che pero’ poi camminano con le gambe degli uomini, occorre più consapevolezza e senso di responsabilità  di chi “vince” le elezioni, altro che canti e festeggiamenti per l’assunzione del Potere. Serve più umiltà e senso estetico, il bello come buono, vero e giusto, ricordando con Stendhal che la bellezza è promessa di felicità.   

martedì 19 aprile 2016

Impatto ambientale

A proposito del referendum sulle trivelle del Mar Adriatico fallito miseramente per non aver raggiunto il quorum riporto quanto scrivevo nel mio libro “L’uomo, l’ambiente, la casa” sulla questione dell’impatto della tecnologia sull’ambiente. La valutazione di impatto ambientale  è un fenomeno tipico della nostra civiltà, che si avvelena e poi controlla che il veleno non sia mortale.  Pertanto essa costituisce a monte un problema di natura culturale, controllato negli effetti con le tecniche delle scienze naturali riconducibili alle scienze esatte. Esiste pero’ un importante aspetto della valutazione di impatto che sfugge alla valutazione delle scienze chimico-fisiche ed è l’impatto di natura visivo-percettiva.Si tratta di un impatto totalmente psicologico, legato alle opinioni di chi fruisce l’ambiente, cioè l’abitante, pertanto verifiche e valutazioni sono da affrontarsi solo con quelle discipline legate ai fenomeni culturali. A questo punto credo sia onesto sottolineare che se nella valutazione di impatto basata su considerazioni di ordine scientifico, chimico-fisico, pur essendoci una buona dose di aleatorietà, è pero’ possibile una certa obiettività, nella valutazione “culturale” dell’impatto tutto è molto più complesso perchè entrano in gioco fattori diversi, legati appunto alle tendenze culturali, ai rapporti tra cultura dominante e culture subalterne ed anche al sapere non scientifico. Impatto, come si diceva, presuppone già una sorta di scontro tra l’intervento dell’uomo e l’ambiente preesistente; una mentalità che bene o male rifiuta questo scontro, ma ricerca l’armonia è sicuramente la migliore garanzia di corretta valutazione di impatto. Infatti quando il  dott Paul Racamier afferma che i “malati mentali” sono molto più sensibili alla struttura fisica e all’aspetto dello spazio in cui vivono di quanto non lo siano le persone cosidette normali, cio’ deriva dal fatto che le persone cosidette normali sono, in realtà, normalizzate, adattate a forza al loro nuovo ambiente. Se si assimila dunque la nostra cultura a una cultura di normalizzati la valutazione degli effetti di impatto psicologico sarebbe già in se sbagliata se rapportata solo alla nostra cultura. In realtà il primo impatto di un intervento dell’uomo nell’ambiente è di natura visivo-percettiva, cioè mentale, e quindi psicologica, antropologica e sociologica. Allora la prima cosa da chiedersi quando si debba intervenire in una data regione credo proprio che sia se la cultura (o le culture) ivi presenti siano in grado di accettare, senza troppi contraccolpi cio’ che si deve insediare, sia un opificio o una strada o una centrale elettrica o infine delle piattaforme per la ricerca del petrolio. Il geografo Eugenio turri aveva brillantemente analizzato in Semiologia del paesaggio italiano come una trasformazione violenta del paesaggio ad opera della nostra civiltà tecnicista possa incidere sulla psicologia della popolazione locale legata  a quei luoghi da generazioni.  A questo una politica della bellezza dovrebbe  tendere.


lunedì 4 aprile 2016

Dell'eleganza in città

                                               Borgo ligure, acquarello su carta

Oggi un’altra categoria in crisi è l’eleganza. Essa ha a che fare con la bellezza. Deriva dal verbo latino elegere che è un rafforzativo di legere corrispondente  sia all’italiano scegliere che leggere. Eleganza vuol dunque  significare saper scegliere. E’ sinonimo di grazia, accuratezza, garbo, leggiadria, ricercatezza, gentilezza. Il contrario di trascuratezza e sciatteria. Eleganza vuol dire anche cura e attenzione.  Un’architettura elegante è quella che deriva da una cura particolare nella scelta delle misure, dei rapporti geometrici, dei materiali e della decorazione. La sezione aurea, per esempio, è il rapporto più elegante in natura, scoperto dagli egizi e dai greci empiricamente. Misura è un’altra versione di eleganza. E’ elegante un manifatto che denota energia non sprecata. Anche dal punto di vista statico è elegante un’opera che mostra forza e al tempo stesso grazia, dove si intravede studio e rispetto, dove un problema complesso è risolto con semplicità: semplicità e complessità sono due opposti che la bellezza contiene e tende a far coincidere, come altri, con eleganza. Coincidentia oppositorum, dichiara Niccolo Cusano per denotare la bellezza divina.  Ecco! eleganza come lettura divina, giusto equilibrio fra gli opposti.  A noi sembra elegante un’opera umana che si contrappone alle forze naturali con il minimo sforzo, come le cattedrali gotiche,, nelle quali le pietre pesanti sfidano la forza di gravità e sembrano esaltare la leggerezza per raggiungere grandi altezze. Ancora due opposti che si uniscono, pesantezza e leggerezza, come si puo’ notare la bellezza è misteriosa. Oggi non c’è molta eleganza nella società globalizzata, cosi come nell’architettura evento mediatico conseguente. (da L’altro architetto,  Casagrande editore)

martedì 15 marzo 2016

Della bioarchitettura

                                                  Antibes, acquerello su carta

Da tempo l’ecologia da pura scienza della natura si  sta trasformando in un nuovo pensiero che investe anche le discipline umanistiche e in generale tutta la cultura di questo inizio millennio. Ogni tanto nella storia dell’uomo si presenta la necessità di cambiare il paradigma di partenza per una nuova interpretazione della realtà che permetta un migliore adattamento e uno scatto evolutivo. Di questi tempi è l’approccio sistemico bioecologico che in tutti i settori sembra costituire la nuova opportunità.  E’ inevitabile riflettere che questa nuova opportunità è in effetti molto antica, ma la nostra cultura, protesa verso altri traguardi l’ha trascurata. La sfida che oggi abbiamo di fronte è quella dell’accettazione della complessità e non separatezza delle cose. Ogni disciplina dunque puo’ essere riletta in questa chiave e l’architettura, essendo per tradizione la meno specialistica, bene si adatta ad essere rivisitata da un punto di vista ecologico ed olistico.  

Questo scrivevo nella premessa al mio libro L’uomo, l’ambiente, la casa. Verso un’etica bioecologica dell’architettura, del 1992, Guerrini Editore.  E’ cambiato qualcosa? E’ evidente che no. Siamo ancora li’ a dire le stesse cose come se  non fossero passati tutti questi anni. Gli architetti sono sempre più numerosi in Italia ma senza lavoro e l’architettura è sempre più appannaggio di investitori con la vanità di mostrare il proprio potere economico attraverso l’esibizione di edifici eventi che si stagliano anomali sulla città. Azioni contro la città anzicchè al servizio di essa. La cosidetta bioarchitettura, di cui noi siamo stati i precursori, ha solo costituito un ulteriore modo per distinguersi, narcisistico ed egoico, da parte di architetti e committenti che hanno voluto mettere in mostra la loro originalità. In alcuni casi archistar internazionali, che mai hanno mostrato sensibilità alla tematica ambientalista, ora si sono riciclati in senso ecologico rivestendo i propri grattacieli di elementi naturali e avanzate tecnologie pseudoecologiche. Qualcuno afferma che l’architetto dovrebbe essere un’antenna sensibile ai cambiamenti e dunque quello che in anni recenti era dettato dall’esaltazione del credo tecnoscientifico oggi è dettato dalle mode eco.  Ma in questo panorama l’integrazione dell’architettura nella città viene tranquillamente dimenticata e l’architetto Carlo Ratti pensa di costruire un edificio di 1609 metri coprendolo di elementi vegetali dei vari paesi, quasi un’Expo in verticale.

sabato 27 febbraio 2016

Moda e arte

                                     La Santa, acquarello su carta, cm 30x40

Leggo sui giornali che la moda ha adottato l’arte ma esiste una sostanziale differenza tra le due benchè spesso la moda si definisca appannaggio dei creativi. Le mode infatti (con questo intendo tutto cio’ che fa tendenza) enfatizzano le aspirazioni collettive del momento e siccome questo è sempre intrecciato con il potere e con l’invidia di esso, e dei suoi simboli,  mettono in scena  quanto è status symbol del momento. Che poi cambia per generare nuovi consumi, a volte visti con assolutismo perchè si aspira ad un proprio potere. La moda quindi semplifica e falsa, dando malessere e frustrazione se si trasferiscono su di essa i valori della vita. La bellezza, che dovrebbe essere alla base della ricerca artistica, sta nella diversità e nella complessità perchè funzionali alla vita. La moda dunque , se viene  investita delle nostre esigenze di assoluto e la si trasforma in culto, allora diventa una droga per anestetizzare i veri bisogni di unificazione.  Alla domanda quindi in che cosa consista la differenza tra moda ed arte si puo’ rispondere che la moda è una parodia dell’arte. Mentre la vera arte pesca nella bellezza cosmica la moda cerca di costruire modelli cui aderire. Qualche volta si serve dell’arte ma mentre quest’ultima  scava in profondità e trova la natura estetica dell’essere che dà libertà ed armonia, la prima utilizza il più delle volte il fascino del potere per creare falsi modelli di perfezione e provoca asservimento se non la si prende come un futile gioco. I giovani sono esposti a questo in quanto sentono più forte il bisogno di appartenere a qualcosa di esteriore: una comunità, un paese, una squadra  ecc. Il bisogno religioso di bellezza, e quindi cioè di unità interiore, negato si degrada dunque in bisogno di aderire a modelli esteriori imposti.  Tanto più uno è diviso dentro e tanto più si attacca a modelli esterni che sono dei sostituti di unità e quindi di amore. Si potrebbe dire che la moda è inerente allo stato di coscienza ordinario, quello causale funzionale, l’arte invece è tipica dello stato di coscienza acausale, simbolico e quindi straordinario.L’arte cerca e trova, la moda cerca e, non trovando, imita. Il fenomeno della moda è più eclatante nel campo dell’abbigliamento perchè vestirsi è comune a tutti gli uomini, che bene o male soggiacciono alle mode, ma esiste anche in tutti gli altri campi tipici dell’arte e soprattutto è presente in quello che riguarda l’abitare, altra funzione connessa all’essere uomini. Di per sè imitare non è assolutamente negativo, anzi. Anche un grande poeta come Goethe difendeva l’imitazione purchè subordinata alla verità. Per cui seguire mode non è  in sè un  male, a meno che non siano palesemente distruttive o autolesive, ma come al solito tutto si complica quando viene introdotto l’elemento potere.  Se uno pensa di acquisire più potere,  quindi prestigio, e si investe il fatto esteriore di un valore assoluto la moda allora diventa competizione vitale: se riesci a seguirla sei qualcuno se no non sei nessuno. In questo caso è un fattore alienante perchè impedisce la vera crescita che è trovare il Sè, ovvero quella parte che ci mette in sintonia con il mondo e con la natura, che è essenzialmente artistica e ci dà benessere ed energia. L’arte vera infatti è sempre un’ operazione di risacralizzazione  e quindi trasfigura i mezzi materiali di cui si serve. La moda ha un fine economicistico e utilitaristico che si scontra con le esigenze ecoantropologiche di equilibrio creativo. Nell’arte i mezzi materiali diventano oggetti di culto, nelle mode vengono consumati, buttati e finiscono nelle discariche.