In occasione della scomparsa del presidente della Società Umanitaria Piero Amos
Nannini mi viene da riflettere sulla funzione che questo Ente ha avuto nel
passato e quello che il suo fondatore, Mosè Loria ,voleva che fosse. In una
visione illuminista di quegli anni, fine ottocento, una certa cultura di
origine massonica, credeva nella funzione educativa per dare, a chi non avesse
ricevuto in eredità potere e denaro, l’opportunità, attraverso la propria
intelligenza, di rilevarsi da soli.
Questo in polemica con la carità pietistica di marca cattolica che
tendeva a lasciare i rapporti di potere immutati. Dunque l’educazione per i
diseredati era un potente ascensore sociale che favoriva la risalita di chi,
pur avendo ricevuto dalla natura buone doti intellettuali, si vedeva costretto
a rinunciare ad utilizzarle per sè e per gli altri in ragione del fatto che non
era in grado di esprimerle ad esempio attraverso un linguaggio appropriato o
mediante la scrittura, ricordo per inciso che allora l’analfabetismo era la
principale piaga dei poveri. L’Umanitaria dunque, sospinta anche dai sindaci
socialisti di Milano nel primo novecento, si diede molto da fare nel settore
dell’assistenza e dell’istruzione per le classi deboli, sono degni di nota fra
l’altro i due quartieri modello costruiti a Milano nel 1906 e 1909, fino ad
essere esempio in Europa. Le numerose iniziative
sono ben documentate nella biblioteca dell’Ente. Durante il fascismo fu
ovviamente contrastata questa sua azione
e invece nel dopoguerra riprese splendore con la guida di Riccardo Bauer,
antifascista al confino con Pertini, che ne prese le redini fino al 68 facendo
costruire negli anni cinquanta addirittura un nuovo edificio in tardo
razionalismo che voleva, come scuola di arti e mestieri, emulare il Bauhaus di Gropius. Il 68 fu l’annus horribilis per l’Umanitaria
fondata ovviamente su un sistema di valutazione strettamente meritocratico.
Bauer diede le dimissioni sulla spinta di una contestazione tanto ideologica
quanto sterile e iniziò il declino. Le ultime due presidenze hanno tentato
qualche rilancio, ad esempio con una università della terza età, ma non hanno a
parer mio saputo interpretarne del tutto lo spirito che era quello di diventare
eccellenza culturale indipendente, per
attirare le forze intellettuali più illuminate e costituire punto di
riferimento per una classe politica che dice di volere l’uguaglianza ma nei
fatti la nega, ammalata di protagonismo narcisistico ovvero nevrosi da potere
come affermo nel mio libro L’altro architetto, non a caso ambientato in
Umanitaria. Anche oggi infatti la forbice tra ricchi e poveri è più che mai
larga, benchè l’istruzione sia aumentata sono apparse nuove povertà e nuove
disuguaglianze che un Ente come questo dovrebbe tentare di ridurre. Le nuove
disuguaglianze non sono più in relazione all’assenza di istruzione ma se mai
alla crisi del sistema dell’istruzione, dalla scuola pubblica all’università di
massa, che genera disoccupazione intellettuale tra i giovani privi di risorse
economiche, e alla conseguente
diffusione del familismo amorale a tutti i livelli e in ogni ambito. Per
arrivare a questo sarebbe necessario, in alcuni settori particolarmente in
crisi, offrire valide alternative, già accade con la musica o, con Nestore, negli
abbandoni scolastici ma si dovrebbe puntare più in alto come era un tempo la
scuola del libro di Steiner che faceva da punto di riferimento in Italia per la
grafica. Perchè non potrebbe essere l’architettura e l’ambiente che stanno particolarmente male
e costituiscono la sintesi di una società in crisi d’identità ?
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domenica 8 ottobre 2017
sabato 5 agosto 2017
La Pietà di Michelangelo
Ho condiviso il video
di L’arte di guardare l’arte sulla Pietà di Michelangelo, quella che sta in S.
Pietro a Roma. Questo video ha avuto più di 150.000 visualizzazioni ed è stato
condiviso più di 100 volte. Credo che sia un segnale da non sottovalutare.
Hilmann affermava che il Novecento ha
effettuata una rimozione : il bisogno di bellezza. Sono d’accordo ma questo
concetto richiede sempre una ridefinizione ogni volta che se ne parla,
purtuttavia una scultura come questa, capace di emozionare e di condurre al
trascendente non ha bisogno di tante parole, parla da sola, è una meditazione
marmorea. Florenski, che non amava molto il rinascimento, affermava che vi sono
due modi di rapportarsi al mondo: quello contemplativo creativo e quello rapace
meccanico. In tutto il Novecento,
soprattutto la seconda metà, ha prevalso il secondo. Questo successo della
Pietà è la compensazione, esso ha due sorgenti intreriori alla nostra umanità.
La prima viene dalla natura di cui facciamo parte, siamo orientati alla ricerca
della bellezza come nocciolo di verità
che sta in noi di natura estetica e sacra. La seconda dalla religiosità che
anch’essa, essendo nella sua essenza una tendenza naturale all’armonia e all’unità, il latino religo da cui deriva significa lego insieme, ci porta a guardare la natura nel suo lato
benedetto, cioè creativo e unificante. Questo connubio dunque di arte, natura e
religiosità conduce al capolavoro ammirato da tutti. E’ vero che il Rinascimento, con il suo
Umanesimo, tende a dare più che altro una visione antropocentrica e
scenografica del mondo ma pur sempre denota attenzione e rispetto ad una Natura
Naturans concepita come creazione che continua a creare. Michelangelo per la
cultura dell’epoca è il punto di arrivo di una ricerca che parte dalla Grecia
per trovare nella natura il bello ideale. Quest’ultimo si realizza con la
venuta del Salvatore che condensa i tre attributi divini: bonum, verum et pulcrum. Non a caso
il nostro artista, faceva parte, soprattutto in gioventù, tempo al quale si fa
risalire la realizzazione di questa Pietà, del circolo neoplatonico fiorentino
fondato da Cosimo De Medici con i principali filosofi e artisti dell’epoca come
Poliziano, Pico della Mirandola, Botticelli, Lorenzo De Medici e altri. La
teoria neoplatonica, che andava bene
alla classe dirigente dell’epoca, da una
parte esaltava la natura nelle doti naturali del potente signore dall’altra
ne provocava un certo svilimento in quanto decretava che essa, benchè unico mezzo per il
raggiungimento del mondo delle idee, era intrisa di imperfezioni (accidenti)
che l’artista aveva il compito di cancellare. Questo idealismo faceva anche
della scienza, al suo sorgere, uno strumento per comprendere la bellezza del
creato rendendola funzionale a questa
ricerca. Comunque fu il Cattolicesimo innestato di pensiero greco a ispirare questo capolavoro e la convinzione
di poter raggiungere la bellezza universale. Si potrebbe dire che la
presenza in Italia di una tradizione
pagana che vedeva nella dea Venere il culmine della bellezza femminile permise
ai nostri artisti di trasferirla sulla madre di Cristo, Basti pensare a quanta
devozione riscuoteva la Madonna anche
dai massimi poeti Dante e Petrarca. Dunque questo naturalismo rinascimentale in
qualche misura fu sostenuto anche dalla presenza di questo elemento femminile
impresso nella teologia. Tutto cambio’
con la Riforma che lo annullo’ per concepire un’idea di Dio solo al maschile
che non aveva certo bisogno di arte ed
emozioni per svelarsi ma semmai di successi commerciali e militari. Questa scelta di genere anche a livello
spirituale porto’ al res cogitans e res extensa di cartesiana memoria che
completo’ la svalutazione della natura e diede l’avvio al suo sfruttamento. Si
potrebbe dire quindi che il culto della Madonna ha protetto il rispetto per la vita e il
naturalismo artistico permettendo la realizzazione di capolavori che ancora ci
emozionano. Questo per dire cosa, direte
voi. Per dire che oggi necessita una
nuova estetica che valorizzi più che mai la natura facendo tesoro anche della
nostra tradizione religiosa che è stata in grado di influenzare l’arte di artisti
eccelsi come Michelangelo. Un commentatore su Facebook mi ha messo come
commento alla Pietà: Meglio un albero. Rispondo che ho il massimo rispetto per
gli alberi e sono d’accordo sul fatto che l’albero sia un essere vivente ma la bellezza è figlia della creatività e quanto
a questo natura e arte sono sullo stesso piano, la prima perchè produce vita e
la seconda perchè ne fa intravedere il trascendente se sa interpretarla senza
allontanarsene presuntuosamente.
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lunedì 3 luglio 2017
Le virtù di un politico
Che cosa noi chiediamo a un politico di professione, cioè colui che si candida a rappresentare gli interessi dei concittadini ai quali chiede il voto per accedere al potere? Credo che sia importante specificarlo in questo momento di grande disaffezione alla politica, crisi dei partiti e populismo dilagante. Naturalmente non si può fare di ogni erba un fascio o buttare l'acqua sporca con il bambino. Dicevo già in altri scritti che la nostra cultura dell'apparire e del consumo ha trasformato i cittadini in consumatori grazie all'azione persuasiva dei media, e in particolare della televisione, tuttavia non possiamo dimenticare che la democrazia, sia pure molto imperfetta, permette di cambiare i detentori del potere senza spargimento di sangue. Ora credo che il difetto semmai sta nel modo in cui questi personaggi vengono scelti e soprattutto nei valori che sottendono alle selezioni e dunque nel definire le virtù pubbliche che vengono pubblicizzate. Posto che le virtù non sono un optional, cioè non sono un di più ma fanno parte del carattere di un uomo e anche secondo Aristotele conducono alla felicità, cosa chiediamo ad un uomo politico? Non chiediamo forse che dimentichi i suoi propri interessi e si occupi dei nostri? Ovvero del bene di tutti o perlomeno del minor male? Dunque questo si chiama in parole povere altruismo ovvero spirito di dedizione a una causa comune con onestà. Questo vuol dire rinunciare alle pretese del proprio ego che si riempie di vanità per accedere a uno stato di modestia e umiltà di fronte alla complessità dei problemi da affrontare. Dunque queste due virtù non sono da dimenticare nelle specifiche qualità di un capo ma il sistema dei media e la natura stessa del potere che si alimenta di propaganda sembra negarle. Non sono certo appannaggio dei populisti, demagoghi che intercettano le emozioni negative della gente per raccogliere consensi. Quindi equità d'animo è un'altra virtù che si richiede al politico, anzi forse la più importante. Significa distacco dalle passioni, tutti i grandi della storia ne sono stati provvisti: Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, morente sul far dell'ultima sera ordina alla guardia equità d'animo. La tolleranza e la pazienza sono anch'esse necessarie a chi detiene qualche potere, direi che sono la conseguenza di un animo equilibrato. E' bene che un politico si legga Voltaire. Infine noi chiediamo ad un leader il senso di responsabilità ed il coraggio. Il primo nel significato di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e accettarne le conseguenze con il coraggio di sostenerle nonostante tutto. Anche la flessibilità è una virtù auspicabile, a patto che non diventi trasformismo. Insomma noi chiediamo ad un uomo politico che si metta al servizio della comunità e che non mostri troppo attaccamento al ruolo e al potere che ne consegue. Nel panorama europeo, per non dire mondiale, voi vedete qualche personaggio che riassume in se le virtù che abbiamo elencato? Personalmente vedo in questo momento per la maggior parte solo piccoli arrampicatori ingigantiti dai media con il consenso dei poteri finanziari, questa è la ragione della crisi della politica e della rabbia strisciante che fomenta i populismi.
domenica 18 giugno 2017
Grenfell Tower
Dopo il disastroso incendio del grattacielo londinese non so se commentare
l’improvvida trascuratezza dei
progettisti e costruttori o la tragedia dei due giovani architetti italiani che
vi sono periti. Cercherò di trattare in sintesi ambedue gli argomenti . Quanto
ai grattacieli ho già espresso il mio parere sia in questo blog che sul mio
libro L’altro architetto. Sono edifici
del primo novecento spacciati per ultramoderni solo in ragione del fatto che
fanno pubblicità al committente, in genere appartenente al mondo finanziario
globalizzato, che ha bisogno di apparire. Le giustificazioni del risparmio del
suolo non reggono di fronte agli sperperi di quest’ultimo da tutte le parti e
in particolare da noi. Senza considerare
fra l’altro che se un grattacielo è adibito a residenza, come in questo caso, occorrono
tanti posti macchina per gli abitanti che annullano il beneficio del risparmio
creando alla base dei non luoghi. Ho già espresso nel mio libro che in aree
fortemente urbanizzate il ritorno all’isolato, naturalmente rivisitato, sarebbe
auspicabile e che su un’area quadrata o rettangolare la volumetria in altezza è
recuperabile sul perimetro con numerosi vantaggi. Il motivo della permanenza
dell’ideologia delle torri è di altra natura e riguarda la psicologia del
potere supportato dalla Tecnica. Detto questo si può affermare che già in
partenza un’amministrazione che ammetta la costruzione in altezza senza limiti si pone fuori dal fine dell’architettura che
dovrebbe essere quello del benessere dell’abitante. Che dire poi delle teorie
cui si rifà la bioarchitettura che predica di non elevarsi oltre il sesto piano
per evitare squilibri eletromagnetici tanto più se le costruzioni sono in
acciaio, come nel caso della Grenfell Tower. E’ evidente che la triplice
condizione soggettiva di cura, attenzione e amore per costruire bellezza si va
a far benedire e il risultato in questo caso è drammaticamente lampante.
Purtroppo l’effetto del sine cura, oltre alla bruttezza che sempre coincide con
l’insalubrità, a volte è anche la pericolosità perchè questa trascuratezza
arriva fino alla scelta dei materiali e alla disattesa delle norme più
elementari di sicurezza. E’
evidente poi che se l’edificio ha come
destinatari gli abitanti a basso reddito,
come nel nostro caso, la trascuratezza diventa sciatteria e menefreghismo per
cui tutto si giustifica con i costi e con il risparmio anche se poi si spreca
sull’energia. Questo è quanto si può dire a proposito dei costruttori ed ora le
indagini, sempre tardive, chiariranno le responsabilità. Quasi per un destino crudele li sono rimasti
vittime due giovani architetti italiani, espatriati in cerca di lavoro perché in Italia erano sottopagati, vittime di un’architettura malata e di una
educazione e formazione altrettanto malata. E’ risaputo che i giovani
architetti nel nostro paese ormai sono in sovrappiù, un architetto ogni 460
abitanti è il frutto di una università, anzi forse di un sistema scolastico
staccato dalla realtà, che non sa
educare e non sa quello che propone, vende patacche che servono solo ad aumentare
la disoccupazione intellettuale giovanile. Tra l’altro benchè il nostro paese
sia il paese della Bellezza, con il maggior numero di siti patrimonio
universale dell’Unesco, queste facoltà, tuttora ancorate ad una visione
astratta e demiurgica dell’architetto frutto di falsi miti legati all’economia
del mattone e alle propagande mediatiche,
trascurano una formazione umanistica. Questo professionista è spesso
spinto alla competizione quantitativa e alla originalità senza qualità per progettare nuovi insediamenti anzichè
porre attenzione al già costruito. Il nuovo invece è sempre opera dell’archistar
di turno, prodotto mediatico che accontenta le manie di grandezza del
committente e dei mass media asserviti. Dai primi segnali infatti a Milano, dopo
l’esercitazione contro la città delle torri di Porta Volta e della ex Fiera, pare che l’occasione della riconversione degli scali ferroviari seguirà queste
stesse logiche. Che dire dunque di queste due giovani vite spezzate ? Mi
viene in mente l’apologo greco di Dedalo, architetto con manie di grandezza
che trasmette involontariamente al
figlio Icaro e quando insieme si alzano
in volo con ali di cera si vede disobbedire, nonostante le sue raccomandazioni
di non alzarsi troppo, e lo vede perire per aver sfidato il sole.
martedì 11 aprile 2017
della produzione di armi
Papa Francesco nel suo messaggio il giorno delle Palme ha detto di pregare
perchè tra l’altro si convertano i cuori dei produttori e dei trafficanti di
armi. Questa affermazione mi pare rivoluzionaria, non so se ci si rende conto
della sua portata. Nel nostro mondo occidentale così civile e cristianizzato la
produzione di armi da guerra è ai primi
posti nella classifica dell’industria manifatturiera. Il che vuol dire
che la nostra economia si regge anche sulla fabbricazione e la vendita di armi.
Ad esempio in Italia il settore è quello più florido, pure in periodo di crisi,
dal 2011 è aumentato del 48 percento con un fatturato di circa 20 miliardi
l’anno. Vi sono industrie insospettabili che producono armi e questa esportazione si rivolge
principalmente verso il medio oriente teatro di guerre. Si ha un bel dire che
servono alla difesa e che la nostra costituzione ripudia la guerra come mezzo
per risolvere i conflitti fra Stati ma se ne è permessa la produzione e la
vendita è chiaro che servendo per la guerra il settore sarà più o meno florido in
relazione all’andamento dei conflitti nel mondo. Viviamo una evidente
schizofrenia : ripudiamo la
violenza e la guerra ma il nostro benessere si sostiene con la produzione di
armi da guerra. Non si può difendere il paradosso con la scusa della difesa del
lavoro e dell’occupazione. Se ci saranno produttori di armi ci saranno guerre
anche se apparentemente verranno vendute a paesi non in guerra. Emanuele Kant
giustamente diceva che finchè vi saranno eserciti permanenti verrà sempre
voglia di servirsene, altrimenti a che servono i militari e le armi ?
Il lavoro lo si dovrebbe garantire in altri settori ad esempio incentivando il
settore dei beni ambientali e culturali, in un paese come il nostro dovrebbe
essere il settore trainante invece è ancora sottovalutato rispetto alle sue
potenzialità. Un bell’esempio per il nostro paese sarebbe la riconversione
delle fabbriche di armi in qualcosa di utile per la pace che viene assicurata
non certo dagli arsenali bellici sia pure con la scusa della difesa. Se
dividiamo il mondo in amici e nemici prima o poi ci ritroveremo con le armi in
mano. Ermete Trismegisto affermava « come sopra cosi sotto » o come
dentro cosi fuori se vogliamo evitare le guerre dobbiamo unificarci, far pace
con noi stessi, integrarci, rivolgerci alla nostra parte bambina, si deve
innescare la compassione ed evitare il potere come dominio. Riempirci di poesia
insomma e di sentimento della bellezza. Accedere dunque alla dimensione
estetica e sacra del nostro essere. Non a caso Dostoevskij affermava che la
bellezza salverà il mondo. Per le armi
si dovrebbe fare come per la droga, vietare la produzione e sanzionare
l’eventuale commercio, si suppone infatti che facciano più male delle sostanze
stupefacenti. Sarebbe così anche più
facile prevenire gli attentati terroristici indagando sul traffico illegale. Ma
sarà difficile se il Pil nazionale dipende anche da questo settore. Per questo
dicevo che l’affermazione del Papa è in qualche modo eversiva.
venerdì 17 marzo 2017
L'architetto oggi
Nell’antica Grecia i miti esemplificavano atteggiamenti dell’animo umano,
vizi e virtù. Per quanto riguarda la mania di grandezza e l’ambizione divorante
era pronto il mito di Dedalo e
Icaro. Dedalo era un architetto molto
famoso che non sopportava di avere dei rivali che lo superassero e avendo
scoperto che suo nipote, che lavorava con lui, ci tentava lo uccise. Per non
essere arrestato scappò a Creta e quivi costrui il famoso Labirinto. Poi dopo
un po’ di tempo volle tornare in patria ma il re glielo impediva allora
progettò e costruì delle ali di piume e cera che indossò e fece indossare al
figlio ammonendolo di non alzarsi troppo in volo perchè la cera con il calore
del sole si sarebbe sciolta. Il ragazzo, preso dall’ebrezza di volare non
stette a seguire i suoi consigli e si librò molto in alto finchè la cera si
sciolse e precipitò in mare perendovi. Perchè, vi direte, racconto questa
storia arcinota ? Come dicevo all’inizio i miti nascondono verità
psicologiche e il fatto che il protagonista di questo che esemplifica la
volontà di potenza smodata sia un architetto è sicuramente emblematico. Come
scrivevo nel mio libro L’altro architetto oggi questi professionisti si
dividono in quelli che non hanno coscienza sociale del proprio ruolo e quelli
che ce l’hanno. Questo si traduce in una minore o maggiore sensibilità verso i
problemi di sostenibilità ecologica e sociale. Ai primi possiamo ascrivere
quasi tutti i cosidetti archistar, o
perlomeno tutti quelli al servizio del capitale finanziario che i
mas _media esaltano per la loro genialità. I committenti li corteggiano
dopo aver contribuito alla loro fama e le loro architetture funzionano
esattamente come la pubblicità : più provoca e più colpisce nella
disattenzione generale e tanto più è assicurato il risultato pubblicitario. Quasi
sempre puntano sullo stupire, se non
intimorire, con qualcosa di portentoso, non a caso i temi sono quelli
che richiamano masse di utenti per eventi spettacolari, per inciso il concetto
di massa è tipico del novecento, fiere, musei, stadi, esposizioni
internazionali o in alternativa grattacieli altissimi per abitazioni di lusso.
In genere queste architetture nulla hanno a che fare con il genius loci e
difficilmente si integrano bene con la città preesistente, risultano invece
essere interventi squilibranti che utilizzano la tecnica per ottenere risultati
sorprendenti. Il grattacielo più alto in Dubai si spinge a circa 800 metri.
Questo garantisce per un certo periodo l’ammirazione e il consenso dei media e
di conseguenza del cittadino sprovveduto. Non a caso in genere tali manufatti
sorgono soprattutto in regioni scarsamente democratiche che vogliono così
mostrare la potenza della classe al potere.
Poi vi sono quelli con una buona coscienza sociale. Walter Gropius scrisse un famoso saggio dal
titolo Architettura Integrata per sostenere la necessità di una integrazione
dell’architettura nella città e descrisse il ruolo pubblico dell’architetto .
Questi ultimi non sono funzionali al potere finanziario perchè non aspirano a
volare troppo in alto come il famoso apologo riportato all’inizio. Sono quelli che cercano l’armonia e
l’eleganza più che la esibizione narcisistica di potenza. Inseguono la bellezza
e sanno realizzare progetti con cura, attenzione e amore che sono i presupposti
soggettivi per ottenerla. Sono questi che salveranno il mondo quando i prodotti
dei primi verranno dismessi perchè la cera delle loro ali si sarà sciolta.
giovedì 2 febbraio 2017
L'artista oggi
Nell’antica Grecia l’artista
aveva una funzione sociale, era colui in grado di rappresentare i miti
fondativi ed era una figura sacra con il compito di unire la terra al cielo.
Questa missione sciamanica era già presente negli anonimi artisti di Lescaux o
di altre pitture rupestri dell’età della
pietra, quindi molto tempo prima della civiltà greca. E’ da supporre che questa
capacità ierofanica sia all’origine della natura stessa dell’estro artistico in
generale in qualsiasi cultura.L’artista o è un mistico o non è artista. Per
Mircea Eliade, grande storico delle religioni che scrisse un ponderoso testo
sullo sciamanesimo, lo sciamano nelle antiche tribù aveva una funzione
fondamentale che si concretizzava nella
ricerca dell’albero sacro che univa la terra al cielo, l’axis mundi, che
serviva a dare identità alla comunità perché la collegava ad un luogo sacro.
Assume cosi una particolare importanza la forma come possiamo constatare anche
oggi nel Feng Shui cinese, elaborata dottrina derivante dagli antichi sciamani,
che si basa sulla forma dei luoghi. Il candidato a questo scopo veniva scelto
fra i ragazzi della comunità per delle sue caratteristiche psicologiche che
oggi gli psichiatri occidentali definirebbero segni di isteria. Doveva dunque
avere una sensibilità superiore per stabilire contatti con il
sovrannaturale. L’ultraterreno, ovvero
il mondo degli spiriti, lo poteva raggiungere grazie al suo particolare
rapporto con la natura indagata con il suo terzo occhio, cioé la sua capacità
intuitiva, simbolica e poetica. L’artista greco si collocava sulla scia dello sciamanismo
antico ed a maggior ragione il poeta che poi era all’origine un cantastorie che
narrava delle origini del mondo. Lungo l’arco della storia l’artista é sempre
stato ammirato e riverito proprio per queste sue ascendenze.Attraverso le forme
della natura risaliva allo spirito universale. E’di conseguenza sempre stato un
personaggio importante molto spesso invidiato ed emulato. Ma finché la sua arte
si confrontava con la capacità di trattare la materia sua propria, il pittore i
colori, lo scultore il marmo o il bronzo, il poeta la parola e la scrittura, il
musico le note, era impossibile a un mistificatore spacciarsi per artista. Di
questi ve ne erano di mediocri o di più bravi ma era difficile che uno
qualunque dichiarasse di essere un artista quando non lo fosse per davvero. A
livello psicologico un vero artista é sempre stato, se vogliamo, un boderline
vicino al folle, Ronald Laing infatti affermava che ambedue sono immersi nel
mare dell’essere ma mentre il folle affoga l’artista mistico sa nuotare. Pavel
Floreskij invece diceva che sia l’uno che l’altro salgono al mondo ultraterreno
ma il primo sale presuntuoso con le sue credenze e ne ridiscende con i suoi
fantasmi credendosi un ispirato mentre il secondo vi sale con umiltà e ne
ridiscende con verità ineffabili. In epoca moderna quando la funzione sociale
dell’artista si é annullata nel mercato,
dopo il periodo romantico che ha esasperato le emozioni forti e si é perduto
l’aggancio con la natura e la tradizione rinunciando ad aspirare alla bellezza,
ogni psicopatico è diventato un artista e un mercato pervertito ne ha esaltata
la produzione di oscenità provocatorie. Ma il peggio è venuto quando l’ arte è
diventata concettuale perchè si è staccata dall’esperienza e dall’abilità
manuale per essere solo espressione di disagi psichici. Personalmente per
valutare un artista, la sua autenticità e ispirazione guardo anche alla sua
vita. Se la sua filosofia di vita o la sua arte non gli hanno procurato gioia,
che è alla base dell’essere e della manifestazione del suo talento, avrò qualche
dubbio.
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