Cerca nel blog

domenica 8 ottobre 2017

Dove va l'Umanitaria?


In occasione della scomparsa del presidente della Società Umanitaria Piero Amos Nannini mi viene da riflettere sulla funzione che questo Ente ha avuto nel passato e quello che il suo fondatore, Mosè Loria ,voleva che fosse. In una visione illuminista di quegli anni, fine ottocento, una certa cultura di origine massonica, credeva nella funzione educativa per dare, a chi non avesse ricevuto in eredità potere e denaro, l’opportunità, attraverso la propria intelligenza, di rilevarsi da soli.  Questo in polemica con la carità pietistica di marca cattolica che tendeva a lasciare i rapporti di potere immutati. Dunque l’educazione per i diseredati era un potente ascensore sociale che favoriva la risalita di chi, pur avendo ricevuto dalla natura buone doti intellettuali, si vedeva costretto a rinunciare ad utilizzarle per sè e per gli altri in ragione del fatto che non era in grado di esprimerle ad esempio attraverso un linguaggio appropriato o mediante la scrittura, ricordo per inciso che allora l’analfabetismo era la principale piaga dei poveri. L’Umanitaria dunque, sospinta anche dai sindaci socialisti di Milano nel primo novecento, si diede molto da fare nel settore dell’assistenza e dell’istruzione per le classi deboli, sono degni di nota fra l’altro i due quartieri modello costruiti a Milano nel 1906 e 1909, fino ad essere esempio in Europa.  Le numerose iniziative sono ben documentate nella biblioteca dell’Ente. Durante il fascismo fu ovviamente contrastata  questa sua azione e invece nel dopoguerra riprese splendore con la guida di Riccardo Bauer, antifascista al confino con Pertini, che ne prese le redini fino al 68 facendo costruire negli anni cinquanta addirittura un nuovo edificio in tardo razionalismo che voleva, come scuola di arti e mestieri,  emulare  il Bauhaus di Gropius. Il  68 fu l’annus horribilis per l’Umanitaria fondata ovviamente su un sistema di valutazione strettamente meritocratico. Bauer diede le dimissioni sulla spinta di una contestazione tanto ideologica quanto sterile e iniziò il declino. Le ultime due presidenze hanno tentato qualche rilancio, ad esempio con una università della terza età, ma non hanno a parer mio saputo interpretarne del tutto lo spirito che era quello di diventare eccellenza culturale  indipendente, per attirare le forze intellettuali più illuminate e costituire punto di riferimento per una classe politica che dice di volere l’uguaglianza ma nei fatti la nega, ammalata di protagonismo narcisistico ovvero nevrosi da potere come affermo nel mio libro L’altro architetto, non a caso ambientato in Umanitaria. Anche oggi infatti la forbice tra ricchi e poveri è più che mai larga, benchè l’istruzione sia aumentata sono apparse nuove povertà e nuove disuguaglianze che un Ente come questo dovrebbe tentare di ridurre. Le nuove disuguaglianze non sono più in relazione all’assenza di istruzione ma se mai alla crisi del sistema dell’istruzione, dalla scuola pubblica all’università di massa, che genera disoccupazione intellettuale tra i giovani privi di risorse economiche,  e alla conseguente diffusione del familismo amorale a tutti i livelli e in ogni ambito. Per arrivare a questo sarebbe necessario, in alcuni settori particolarmente in crisi, offrire valide alternative, già accade con la musica o, con Nestore, negli abbandoni scolastici ma si dovrebbe puntare più in alto come era un tempo la scuola del libro di Steiner che faceva da punto di riferimento in Italia per la grafica. Perchè non potrebbe essere l’architettura  e l’ambiente che stanno particolarmente male e costituiscono la sintesi di una società in crisi d’identità ?

sabato 5 agosto 2017

La Pietà di Michelangelo


Ho condiviso il video di L’arte di guardare l’arte sulla Pietà di Michelangelo, quella che sta in S. Pietro a Roma. Questo video ha avuto più di 150.000 visualizzazioni ed è stato condiviso più di 100 volte. Credo che sia un segnale da non sottovalutare. Hilmann affermava che il  Novecento ha effettuata una rimozione : il bisogno di bellezza. Sono d’accordo ma questo concetto richiede sempre una ridefinizione ogni volta che se ne parla, purtuttavia una scultura come questa, capace di emozionare e di condurre al trascendente non ha bisogno di tante parole, parla da sola, è una meditazione marmorea. Florenski, che non amava molto il rinascimento, affermava che vi sono due modi di rapportarsi al mondo: quello contemplativo creativo e quello rapace meccanico.  In tutto il Novecento, soprattutto la seconda metà, ha prevalso il secondo. Questo successo della Pietà è la compensazione, esso ha due sorgenti intreriori alla nostra umanità. La prima viene dalla natura di cui facciamo parte, siamo orientati alla ricerca della bellezza come  nocciolo di verità che sta in noi di natura estetica e sacra. La seconda dalla religiosità che anch’essa, essendo nella sua essenza una  tendenza naturale all’armonia e all’unità, il latino religo da cui deriva significa  lego insieme, ci porta a guardare la natura nel suo lato benedetto, cioè creativo e unificante. Questo connubio dunque di arte, natura e religiosità conduce al capolavoro ammirato da tutti.  E’ vero che il Rinascimento, con il suo Umanesimo, tende a dare più che altro una visione antropocentrica e scenografica del mondo ma pur sempre denota attenzione e rispetto ad una Natura Naturans concepita come creazione che continua a creare. Michelangelo per la cultura dell’epoca è il punto di arrivo di una ricerca che parte dalla Grecia per trovare nella natura il bello ideale. Quest’ultimo si realizza con la venuta del Salvatore che condensa i tre attributi  divini: bonum, verum et pulcrum. Non a caso il nostro artista, faceva parte, soprattutto in gioventù, tempo al quale si fa risalire la realizzazione di questa Pietà, del circolo neoplatonico fiorentino fondato da Cosimo De Medici con i principali filosofi e artisti dell’epoca come Poliziano, Pico della Mirandola, Botticelli, Lorenzo De Medici e altri. La teoria neoplatonica,  che andava bene alla classe dirigente dell’epoca,  da una parte esaltava la natura nelle doti naturali del potente signore dall’altra ne  provocava un certo svilimento  in quanto decretava  che essa, benchè unico mezzo per il raggiungimento del mondo delle idee, era intrisa di imperfezioni (accidenti) che l’artista aveva il compito di cancellare. Questo idealismo faceva anche della scienza, al suo sorgere, uno strumento per comprendere la bellezza del creato  rendendola funzionale a questa ricerca. Comunque fu il Cattolicesimo innestato di pensiero greco  a ispirare questo capolavoro e la convinzione di poter raggiungere la bellezza universale. Si potrebbe dire che la presenza  in Italia di una tradizione pagana che vedeva nella dea Venere il culmine della bellezza femminile permise ai nostri artisti di trasferirla sulla madre di Cristo, Basti pensare a quanta devozione riscuoteva la Madonna  anche dai massimi poeti Dante e Petrarca. Dunque questo naturalismo rinascimentale in qualche misura fu sostenuto anche dalla presenza di questo elemento femminile impresso nella teologia.  Tutto cambio’ con la Riforma che lo annullo’ per concepire un’idea di Dio solo al maschile che non aveva certo bisogno  di arte ed emozioni per svelarsi ma semmai di successi commerciali e militari.  Questa scelta di genere anche a livello spirituale porto’ al res cogitans e res extensa di cartesiana memoria che completo’ la svalutazione della natura e diede l’avvio al suo sfruttamento. Si potrebbe dire quindi che il culto della Madonna  ha protetto il rispetto per la vita e il naturalismo artistico permettendo la realizzazione di capolavori che ancora ci emozionano.  Questo per dire cosa, direte voi.  Per dire che oggi necessita una nuova estetica che valorizzi più che mai la natura facendo tesoro anche della nostra tradizione religiosa che è stata in grado di influenzare l’arte di artisti eccelsi come Michelangelo. Un commentatore su Facebook mi ha messo come commento alla Pietà: Meglio un albero. Rispondo che ho il massimo rispetto per gli alberi e sono d’accordo sul fatto che l’albero sia un essere vivente ma  la bellezza è figlia della creatività e quanto a questo natura e arte sono sullo stesso piano, la prima perchè produce vita e la seconda perchè ne fa intravedere il trascendente se sa interpretarla senza allontanarsene presuntuosamente.   

lunedì 3 luglio 2017

Le virtù di un politico


Che cosa noi chiediamo a un politico di professione, cioè colui che si candida a rappresentare gli interessi dei concittadini ai quali chiede il voto per accedere al potere? Credo che sia importante specificarlo in questo momento di grande disaffezione alla politica, crisi dei partiti e populismo dilagante. Naturalmente non si può fare di ogni erba un fascio o buttare l'acqua sporca con il bambino. Dicevo già in altri scritti che la nostra cultura dell'apparire e del consumo ha trasformato i cittadini in consumatori grazie all'azione persuasiva dei media, e in particolare della televisione, tuttavia non possiamo dimenticare che la democrazia, sia pure molto imperfetta, permette di cambiare i detentori del potere senza spargimento di sangue. Ora credo che il difetto semmai sta nel modo in cui questi personaggi vengono scelti e soprattutto nei valori che sottendono alle selezioni e dunque nel definire le virtù pubbliche che vengono pubblicizzate. Posto che le virtù non sono un optional, cioè non sono un di più ma fanno parte del carattere di un uomo e anche secondo Aristotele conducono alla felicità, cosa chiediamo ad un uomo politico? Non chiediamo forse che dimentichi i suoi propri interessi e si occupi dei nostri? Ovvero del bene di tutti o perlomeno del minor male? Dunque questo si chiama in parole povere altruismo ovvero spirito di dedizione a una causa comune con onestà. Questo vuol dire rinunciare alle pretese del proprio ego che si riempie di vanità per accedere a uno stato di modestia e umiltà di fronte alla complessità dei problemi da affrontare. Dunque queste due virtù non sono da dimenticare nelle specifiche qualità di un capo ma il sistema dei media e la natura stessa del potere che si alimenta di propaganda sembra negarle. Non sono certo appannaggio dei populisti, demagoghi che intercettano le emozioni negative della gente per raccogliere consensi. Quindi equità d'animo è un'altra virtù che si richiede al politico, anzi forse la più importante. Significa distacco dalle passioni, tutti i grandi della storia ne sono stati provvisti: Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, morente sul far dell'ultima sera ordina alla guardia equità d'animo. La tolleranza e la pazienza sono anch'esse necessarie a chi detiene qualche potere, direi che sono la conseguenza di un animo equilibrato. E' bene che un politico si legga Voltaire. Infine noi chiediamo ad un leader il senso di responsabilità ed il coraggio. Il primo nel significato di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e accettarne le conseguenze con il coraggio di sostenerle nonostante tutto. Anche la flessibilità è una virtù auspicabile, a patto che non diventi trasformismo. Insomma noi chiediamo ad un uomo politico che si metta al servizio della comunità e che non mostri troppo attaccamento al ruolo e al potere che ne consegue. Nel panorama europeo, per non dire mondiale, voi vedete qualche personaggio che riassume in se le virtù che abbiamo elencato? Personalmente vedo in questo momento per la maggior parte solo piccoli arrampicatori ingigantiti dai media con il consenso dei poteri finanziari, questa è la ragione della crisi della politica e della rabbia strisciante che fomenta i populismi.

domenica 18 giugno 2017

Grenfell Tower


Dopo il disastroso incendio del grattacielo londinese non so se commentare l’improvvida  trascuratezza dei progettisti e costruttori o la tragedia dei due giovani architetti italiani che vi sono periti. Cercherò di trattare in sintesi ambedue gli argomenti . Quanto ai grattacieli ho già espresso il mio parere sia in questo blog che sul mio libro L’altro architetto.  Sono edifici del primo novecento spacciati per ultramoderni solo in ragione del fatto che fanno pubblicità al committente, in genere appartenente al mondo finanziario globalizzato, che ha bisogno di apparire. Le giustificazioni del risparmio del suolo non reggono di fronte agli sperperi di quest’ultimo da tutte le parti e in particolare da noi.  Senza considerare fra l’altro che se un grattacielo è adibito a residenza, come in questo caso, occorrono tanti posti macchina per gli abitanti che annullano il beneficio del risparmio creando alla base dei non luoghi. Ho già espresso nel mio libro che in aree fortemente urbanizzate il ritorno all’isolato, naturalmente rivisitato, sarebbe auspicabile e che su un’area quadrata o rettangolare la volumetria in altezza è recuperabile sul perimetro con numerosi vantaggi. Il motivo della permanenza dell’ideologia delle torri è di altra natura e riguarda la psicologia del potere supportato dalla Tecnica. Detto questo si può affermare che già in partenza un’amministrazione che ammetta la costruzione in altezza senza limiti  si pone fuori dal fine dell’architettura che dovrebbe essere quello del benessere dell’abitante. Che dire poi delle teorie cui si rifà la bioarchitettura che predica di non elevarsi oltre il sesto piano per evitare squilibri eletromagnetici tanto più se le costruzioni sono in acciaio, come nel caso della Grenfell Tower. E’ evidente che la triplice condizione soggettiva di cura, attenzione e amore per costruire bellezza si va a far benedire e il risultato in questo caso è drammaticamente lampante. Purtroppo l’effetto del sine cura, oltre alla bruttezza che sempre coincide con l’insalubrità, a volte è anche la pericolosità perchè questa trascuratezza arriva fino alla scelta dei materiali e alla disattesa delle norme più elementari di sicurezza.  E’ evidente  poi che se l’edificio ha come destinatari  gli abitanti a basso reddito, come nel nostro caso, la trascuratezza diventa sciatteria e menefreghismo per cui tutto si giustifica con i costi e con il risparmio anche se poi si spreca sull’energia. Questo è quanto si può dire a proposito dei costruttori ed ora le indagini, sempre tardive, chiariranno le responsabilità.  Quasi per un destino crudele li sono rimasti vittime due giovani architetti italiani, espatriati in cerca di lavoro perché in Italia erano sottopagati, vittime di un’architettura malata e di una educazione e formazione altrettanto malata. E’ risaputo che i giovani architetti nel nostro paese ormai sono in sovrappiù, un architetto ogni 460 abitanti è il frutto di una università, anzi forse di un sistema scolastico staccato dalla realtà,  che non sa educare e non sa quello che propone,  vende patacche che servono solo ad aumentare la disoccupazione intellettuale giovanile. Tra l’altro benchè il nostro paese sia il paese della Bellezza, con il maggior numero di siti patrimonio universale dell’Unesco, queste facoltà, tuttora ancorate ad una visione astratta e demiurgica dell’architetto frutto di falsi miti legati all’economia del mattone e alle propagande mediatiche,  trascurano una formazione umanistica. Questo professionista è spesso spinto alla competizione quantitativa e alla originalità senza qualità  per progettare nuovi insediamenti anzichè porre attenzione al già costruito. Il nuovo invece è sempre opera dell’archistar di turno, prodotto mediatico che accontenta le manie di grandezza del committente e dei mass media asserviti. Dai primi segnali infatti a Milano, dopo l’esercitazione contro la città delle torri di Porta Volta e della ex Fiera, pare che l’occasione della riconversione degli scali ferroviari seguirà queste stesse logiche. Che dire dunque di queste due giovani vite spezzate ? Mi viene in mente l’apologo greco di Dedalo, architetto con manie di grandezza che  trasmette involontariamente al figlio Icaro e quando  insieme si alzano in volo con ali di cera si vede disobbedire, nonostante le sue raccomandazioni di non alzarsi troppo, e lo vede perire per aver sfidato il sole.   

martedì 11 aprile 2017

della produzione di armi

                   


Papa Francesco nel suo messaggio il giorno delle Palme ha detto di pregare perchè tra l’altro si convertano i cuori dei produttori e dei trafficanti di armi. Questa affermazione mi pare rivoluzionaria, non so se ci si rende conto della sua portata. Nel nostro mondo occidentale così civile e cristianizzato la produzione di armi da guerra è ai primi  posti nella classifica dell’industria manifatturiera. Il che vuol dire che la nostra economia si regge anche sulla fabbricazione e la vendita di armi. Ad esempio in Italia il settore è quello più florido, pure in periodo di crisi, dal 2011 è aumentato del 48 percento con un fatturato di circa 20 miliardi l’anno. Vi sono industrie insospettabili che producono armi  e questa esportazione si rivolge principalmente verso il medio oriente teatro di guerre. Si ha un bel dire che servono alla difesa e che la nostra costituzione ripudia la guerra come mezzo per risolvere i conflitti fra Stati ma se ne è permessa la produzione e la vendita è chiaro che servendo per la guerra  il settore sarà più o meno florido in relazione all’andamento dei conflitti nel mondo. Viviamo una evidente schizofrenia :  ripudiamo la violenza e la guerra ma il nostro benessere si sostiene con la produzione di armi da guerra. Non si può difendere il paradosso con la scusa della difesa del lavoro e dell’occupazione. Se ci saranno produttori di armi ci saranno guerre anche se apparentemente verranno vendute a paesi non in guerra. Emanuele Kant giustamente diceva che finchè vi saranno eserciti permanenti verrà sempre voglia di servirsene, altrimenti a che servono i militari e le armi ? Il lavoro lo si dovrebbe garantire in altri settori ad esempio incentivando il settore dei beni ambientali e culturali, in un paese come il nostro dovrebbe essere il settore trainante invece è ancora sottovalutato rispetto alle sue potenzialità. Un bell’esempio per il nostro paese sarebbe la riconversione delle fabbriche di armi in qualcosa di utile per la pace che viene assicurata non certo dagli arsenali bellici sia pure con la scusa della difesa. Se dividiamo il mondo in amici e nemici prima o poi ci ritroveremo con le armi in mano. Ermete Trismegisto affermava « come sopra cosi sotto » o come dentro cosi fuori se vogliamo evitare le guerre dobbiamo unificarci, far pace con noi stessi, integrarci, rivolgerci alla nostra parte bambina, si deve innescare la compassione ed evitare il potere come dominio. Riempirci di poesia insomma e di sentimento della bellezza. Accedere dunque alla dimensione estetica e sacra del nostro essere. Non a caso Dostoevskij affermava che la bellezza salverà il mondo.  Per le armi si dovrebbe fare come per la droga, vietare la produzione e sanzionare l’eventuale commercio, si suppone infatti che facciano più male delle sostanze stupefacenti.  Sarebbe così anche più facile prevenire gli attentati terroristici indagando sul traffico illegale. Ma sarà difficile se il Pil nazionale dipende anche da questo settore. Per questo dicevo che l’affermazione del Papa è in qualche modo eversiva.

venerdì 17 marzo 2017

L'architetto oggi




Nell’antica Grecia i miti esemplificavano atteggiamenti dell’animo umano, vizi e virtù. Per quanto riguarda la mania di grandezza e l’ambizione divorante  era pronto il mito di Dedalo e Icaro.  Dedalo era un architetto molto famoso che non sopportava di avere dei rivali che lo superassero e avendo scoperto che suo nipote, che lavorava con lui, ci tentava lo uccise. Per non essere arrestato scappò a Creta e quivi costrui il famoso Labirinto. Poi dopo un po’ di tempo volle tornare in patria ma il re glielo impediva allora progettò e costruì delle ali di piume e cera che indossò e fece indossare al figlio ammonendolo di non alzarsi troppo in volo perchè la cera con il calore del sole si sarebbe sciolta. Il ragazzo, preso dall’ebrezza di volare non stette a seguire i suoi consigli e si librò molto in alto finchè la cera si sciolse e precipitò in mare perendovi. Perchè, vi direte, racconto questa storia arcinota ? Come dicevo all’inizio i miti nascondono verità psicologiche e il fatto che il protagonista di questo che esemplifica la volontà di potenza smodata sia un architetto è sicuramente emblematico. Come scrivevo nel mio libro L’altro architetto oggi questi professionisti si dividono in quelli che non hanno coscienza sociale del proprio ruolo e quelli che ce l’hanno. Questo si traduce in una minore o maggiore sensibilità verso i problemi di sostenibilità ecologica e sociale. Ai primi possiamo ascrivere quasi tutti i cosidetti  archistar, o perlomeno tutti quelli al servizio del capitale finanziario che i mas _media esaltano per la loro genialità. I committenti li corteggiano dopo aver contribuito alla loro fama e le loro architetture funzionano esattamente come la pubblicità : più provoca e più colpisce nella disattenzione generale e tanto più è assicurato il risultato pubblicitario. Quasi sempre puntano sullo stupire, se non   intimorire, con qualcosa di portentoso, non a caso i temi sono quelli che richiamano masse di utenti per eventi spettacolari, per inciso il concetto di massa è tipico del novecento, fiere, musei, stadi, esposizioni internazionali o in alternativa grattacieli altissimi per abitazioni di lusso. In genere queste architetture nulla hanno a che fare con il genius loci e difficilmente si integrano bene con la città preesistente, risultano invece essere interventi squilibranti che utilizzano la tecnica per ottenere risultati sorprendenti. Il grattacielo più alto in Dubai si spinge a circa 800 metri. Questo garantisce per un certo periodo l’ammirazione e il consenso dei media e di conseguenza del cittadino sprovveduto. Non a caso in genere tali manufatti sorgono soprattutto in regioni scarsamente democratiche che vogliono così mostrare la potenza della classe al potere.  Poi vi sono quelli con una buona coscienza sociale.  Walter Gropius scrisse un famoso saggio dal titolo Architettura Integrata per sostenere la necessità di una integrazione dell’architettura nella città e descrisse il ruolo pubblico dell’architetto . Questi ultimi non sono funzionali al potere finanziario perchè non aspirano a volare troppo in alto come il famoso apologo riportato all’inizio.  Sono quelli che cercano l’armonia e l’eleganza più che la esibizione narcisistica di potenza. Inseguono la bellezza e sanno realizzare progetti con cura, attenzione e amore che sono i presupposti soggettivi per ottenerla. Sono questi che salveranno il mondo quando i prodotti dei primi verranno dismessi perchè la cera delle loro ali si sarà sciolta.     

giovedì 2 febbraio 2017

L'artista oggi


Nell’antica Grecia l’artista aveva una funzione sociale, era colui in grado di rappresentare i miti fondativi ed era una figura sacra con il compito di unire la terra al cielo. Questa missione sciamanica era già presente negli anonimi artisti di Lescaux o di altre pitture rupestri  dell’età della pietra, quindi molto tempo prima della civiltà greca. E’ da supporre che questa capacità ierofanica sia all’origine della natura stessa dell’estro artistico in generale in qualsiasi cultura.L’artista o è un mistico o non è artista. Per Mircea Eliade, grande storico delle religioni che scrisse un ponderoso testo sullo sciamanesimo, lo sciamano nelle antiche tribù aveva una funzione fondamentale  che si concretizzava nella ricerca dell’albero sacro che univa la terra al cielo, l’axis mundi, che serviva a dare identità alla comunità perché la collegava ad un luogo sacro. Assume cosi una particolare importanza la forma come possiamo constatare anche oggi nel Feng Shui cinese, elaborata dottrina derivante dagli antichi sciamani, che si basa sulla forma dei luoghi. Il candidato a questo scopo veniva scelto fra i ragazzi della comunità per delle sue caratteristiche psicologiche che oggi gli psichiatri occidentali definirebbero segni di isteria. Doveva dunque avere una sensibilità superiore per stabilire contatti con il sovrannaturale.  L’ultraterreno, ovvero il mondo degli spiriti,  lo poteva  raggiungere grazie al suo particolare rapporto con la natura indagata con il suo terzo occhio, cioé la sua capacità intuitiva, simbolica e poetica. L’artista greco  si collocava sulla scia dello sciamanismo antico ed a maggior ragione il poeta che poi era all’origine un cantastorie che narrava delle origini del mondo. Lungo l’arco della storia l’artista é sempre stato ammirato e riverito proprio per queste sue ascendenze.Attraverso le forme della natura risaliva allo spirito universale. E’di conseguenza sempre stato un personaggio importante molto spesso invidiato ed emulato. Ma finché la sua arte si confrontava con la capacità di trattare la materia sua propria, il pittore i colori, lo scultore il marmo o il bronzo, il poeta la parola e la scrittura, il musico le note, era impossibile a un mistificatore spacciarsi per artista. Di questi ve ne erano di mediocri o di più bravi ma era difficile che uno qualunque dichiarasse di essere un artista quando non lo fosse per davvero. A livello psicologico un vero artista é sempre stato, se vogliamo, un boderline vicino al folle, Ronald Laing infatti affermava che ambedue sono immersi nel mare dell’essere ma mentre il folle affoga l’artista mistico sa nuotare. Pavel Floreskij invece diceva che sia l’uno che l’altro salgono al mondo ultraterreno ma il primo sale presuntuoso con le sue credenze e ne ridiscende con i suoi fantasmi credendosi un ispirato mentre il secondo vi sale con umiltà e ne ridiscende con verità ineffabili. In epoca moderna quando la funzione sociale dell’artista si é annullata  nel mercato, dopo il periodo romantico che ha esasperato le emozioni forti e si é perduto l’aggancio con la natura e la tradizione rinunciando ad aspirare alla bellezza, ogni psicopatico è diventato un artista e un mercato pervertito ne ha esaltata la produzione di oscenità provocatorie. Ma il peggio è venuto quando l’ arte è diventata concettuale perchè si è staccata dall’esperienza e dall’abilità manuale per essere solo espressione di disagi psichici. Personalmente per valutare un artista, la sua autenticità e ispirazione guardo anche alla sua vita. Se la sua filosofia di vita o la sua arte non gli hanno procurato gioia, che è alla base dell’essere e della manifestazione del suo talento, avrò qualche dubbio.