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giovedì 13 agosto 2015

Per Vittorio Borachia


                           La città ideale, acquarello e pastello su carta 

 E’ mancato in questi giorni di agosto un amico, collega e maestro, Vittorio Borachia. Sono addolorato e voglio ricordarlo parlando di lui per quello che ho potuto conoscerlo. Era essenzialmente un uomo buono, con un’etica piuttosto stoica. Mi risulta che a vent’anni era in marina durante la guerra e forse un po’ di quella disciplina marinaresca  lo aveva contagiato anche nella vita, aveva infatti le virtù dei grandi navigatori : onestà, coraggio, solidarietà, spirito d’avventura, riservatezza e culto dell’amicizia. Era infatti nativo di La Spezia, città che lui amava anche se viveva a Milano ed insegnava Urbanistica alla Facoltà di Architettura. Ho lavorato con lui ai piani delle oasi naturalistiche del mantovano, nei primi anni ottanta, cosi ho potuto conoscere il suo pensiero e la sua cultura. Nonostante appartenesse alla generazione che aveva creduto nella tecnica, nell’industria e nel progresso scientifico, tanto che disegno,insieme a Carlo Santi negli anni 50, una poltrona pieghevole in plastica per la Tecno, lui aveva fin da giovane maturato un amore per la natura che lo porto’ ad abbracciare in architettura l’organicismo di Frank Lloyd Wright che aveva conosciuto a Taliesin West, dove aveva passato un po’ di tempo per seguire il maestro da vicino.  Di questa influenza si puo’ vedere la traccia nella casa da lui progettata per la sua famiglia sopra Albavilla in provincia di Como. La sua attività professionale tuttavia è stata prevalentemente dedicata ai piani urbanistici dove per la prima volta si nota il tentativo di coniugare lo sviluppo con la sua sostenibilità ecologica. Per lui il bello in architettura è il prodotto conseguente di una urbanistica  ben fatta dove il lavoro dell’architetto si inserisce senza arroganza e provocazione ma con misura ed eleganza, frutto di una concezione aristocratica  della sua opera, nel senso etimologico originario di « la migliore ».  Ma è  proprio sul versante dell’ecologia applicata al territorio, costruito e naturale, che osserviamo la sua novità, considerando i tempi, erano gli anni 70 e 80. Fu infatti uno strenuo difensore del paesaggio come bene da conservare, soprattutto nella sua Liguria, aimè sconvolta dalla speculazione, applicando norme e leggi atte a proteggerlo. Vittorio era politicamente un socialista riformista ed è stato uno  dei miei riferimenti ai quali è dedicato il mio ultimo libro L’altro architetto, infatti la figura dell’insegnante  nel dialogo socratico si attaglia bene alla sua persona ed alla sua attività di professore e  presidente della Fondazione Labo’.   

domenica 2 agosto 2015

Della rabbia e della violenza

                                            Giardini Montanelli, acquarello su carta


Quando era bambino avevamo un cane, anzi una cagnetta che quasi ogni anno veniva ingravidata da qualche randagio e partoriva cuccioli bellissimi. Almeno cosi sembravano a noi bimbi felici di assistere a questo miracolo della natura. In genere pero’ se ne dovevano tenere solo due, gli altri purtroppo venivano gettati nel fiume nottetempo dal Primo,il giardiniere. Questi due erano nutriti,  fatti crescere ed infine regalati a qualche parente o amico. Un anno pero’ uno l’abbiamo tenuto ed era diventato un bel cane color nocciola che trotterellava allegro accanto alla madre durante le passeggiate nei boschi. Era entusiasmante vedere la sua vitalità, la sua gioia e la sua curiosità. Era pero’ come tutti i cuccioli viziati disubbidiente e non aveva ancora imparato a rispondere al richiamo.  Un bel giorno decidemmo di andare a fare una bella passeggiata in pineta, tutta la famiglia di cinque persone e i due cani che festeggiavano l’evento abbaiando ripetutamente. Questa abetaia veniva attraversata da una strada, ancora sterrata, che conduceva ad un sanatorio e veniva percorsa due volte al giorno da una corriera che vi portava i visitatori dalla stazione ferroviaria,  lontana un paio di chilometri. Il cucciolo aveva attraversato la strada ed annusava estasiato qualcosa che gli piaceva. Ad un tratto  sentimmo il rombo del motore del pulmino, un residuato bellico, e vedemmo in lontananza il polverone che si avvicinava, abbiamo allora chiamato il cane che si attardava facendo finta di nulla. Infine, dopo numerosi urli, trotterellando ha attraversato la strada proprio nel momento in cui giungeva il mezzo che lo centro’  in pieno. Il cucciolo rimase stecchito al suolo, da parte del guidatore nessuna reazione, come se nulla fosse ha continuato la sua corsa lasciandoci ammutoliti di fronte  alla tragedia. Quello che era felicità e grazia venne spazzato via dalla violenza  dell’atto. Avrebbe potuto frenare o rallentare e quantomeno fermarsi e dimostrare dispiacere dopo l’investimento : nulla. Avevamo avuto l’impressione invece che avesse accelerato apposta per  centrarlo.  La violenza aveva messo fine ad una vita e dentro di noi bimbi il seme della tristezza, della paura e della rabbia iniziava a germogliare.  E’ da questi episodi traumatici che nasce la rabbia. Questa è l’emozione che scatena le guerre. Raccontano gli psicologi che i soldati in battaglia vedono cadere i propri amici e si riempiono di rabbia che supera la paura e accende il desiderio di vendetta.  Questi erano i sentimenti che provammo noi nei confronti del sadico autista. Per un bambino il cane è il suo amico.  Esiste anche un’etica  per il comportamento nei confronti degli animali e delle piante, benchè in Occidente poco seguita, del vivente insomma, perchè noi siamo in quanto apparteniamo ad una vita interrelata con altre vite non solo umane. Il buddista Thich Nhat Hanh lo chiama interessere che prevede la compassione per il vivente. In tempo di abbandono estivo di animali come se fossero cose è utile riflettere. La bellezza promessa di felicità in questo consiste.

sabato 4 luglio 2015

Della sinistra e altre storie


                                          I bagni Regina, acquarello su carta

Di fronte alle manifestazioni della politica nostrana  viene spontaneo chiedersi se esista una sinistra nel nostro paese e che cosa sia di sinistra. Credo che valga la pena chiederselo per poter poi giudicare i nostri governanti che si definiscono di sinistra. Storicamente essa era quella parte che voleva l’uguaglianza  dei cittadini indipendentemente dal censo o peggio dal casato. Nasce dalla rivoluzione francese nei  tre principi, egalitè, fraternitè e libertè. Dobbiamo tener presente che l’illuminismo l’ aveva favorita credendo ingenuamente  nel raggiungimento della felicità, le but de la revolution c’est le boneur,  affermavano.  La sinistra dunque è per il riscatto sociale, per la difesa dei più deboli per la flessibilità dei ruoli di potere che vengono attribuiti a chi dimostra di avere le capacità indipendentemente dalle origini. Dunque la sinistra è per la continua riforma del sistema di potere per renderlo più giusto e creativo, per la selezione attraverso il merito e le doti naturali e non per le rendite di posizione. Quindi la sinistra è per il cambiamento e non per la rigidità. Tutto questo alcuni hanno pensato improvvidamente che lo si potesse ottenere con rivoluzioni violente altri con riforme. Massimalisti gli uni, riformisti gli altri.  Ma aldilà dei mezzi per raggiungere gli scopi suddetti di un nuovo umanesimo si tratta in cui prevale la fiducia, la solidarietà e la ricerca dell’uguaglianza. E’ basato insomma su sentimenti ed emozioni positive e non sugli egoismi e sulla paura,  emozioni negative. Per raggiungere questo stato sociale viene ovviamente data molta importanza alla educazione poichè il popolo, tenuto per secoli nell’ignoranza e nella sudditanza, ha bisogno di essere istruito per diventare classe dirigente. Da qui l’importanza che viene data alle scuole perchè il quarto stato deve essere preparato e messo nelle condizioni di competere con i ricchi nell’assunzione del potere.  La scuola diventa cosi un ascensore sociale che tende a valorizzare i talenti naturali perchè siano messi al servizio della collettività. Questo era anche il pensiero di Mosè Loria quando lascio’ il suo patrimonio per fondare una scuola di arti e mestieri, l’Umanitaria, affinchè i cosidetti « diseredati » si rilevassero da soli, con le proprie capacità. Lo stesso assunto teorico  anche di Riccardo  Bauer che, antifascista al confino con Pertini, dopo la liberazione preferi restare a dirigere la Scuola della Società Umanitaria piuttosto che andare in parlamento. La pedagogia degli oppressi, tanto per citare un saggio di Paulo Freire degli anni ottanta, è di fondamentale importanza per una politica cosidetta di sinistra. Dunque tutto quello che è orientato al riscatto sociale dei più deboli è di sinistra, dai diritti degli andicappati a quelli delle minoranze di vario genere. Lo stato interviene a smorzare la forbice tra ricchi e poveri generata dal mercato senza regole frutto del liberalismo più sfrenato. Infatti ad una concezione  socialista che abbiamo delineato si contrappone una concezione liberale  che lascia le cose come stanno e pretende di dare la massima libertà all’iniziatva privata e alle leggi della concorrenza.  Il fondamento della sinistra quindi è la fiducia nella persona umana al dilà delle differenze di censo, di razza e di religione E’ emblematico che ultimamente le uniche cose di sinistra le dica Papa Francesco che si ispira ovviamente ai Vangeli. Tra i nostri  politici  di sinistra purtroppo vediamo una degenerzione di questi principi nel buonismo, nel protagonismo e nella esibizione narcisistica del potere che portano al populismo, ahimè.

mercoledì 3 giugno 2015

Dell'arte e degli artisti

                                               Omaggio a Monet, acquarello su carta

Vedo che ultimamente su fb si discute molto sull'arte e gli artisti anche in ragione del prezzi stratosferici pagati dai collezionisti nelle aste per accaparrarsi delle opere di dubbia reputazione, dedicherò quindi questo post all'argomento che ho già trattato sui miei ultimi due libri Ecologia e Bellezza, ed. Alinea e L'altro architetto, ed. Casagrande. L'argomento sul quale spesso si dibatte è cosa sia arte e se questo giudizio sia soggettivo, legato al gusto, oppure no.  All'Expo è stata esposta una statua dal titolo L'esibizionista che rappresenta un uomo  in posa inequivocabile che con l'impermeabile aperto mostra i  genitali. Da lì ne è nato un lungo dibattito a più voci se questa sia arte e dove quast'ultima voglia andare a parare. A mio parere sta avanzando un nuovo interesse perchè sotto si nasconde uno scontento generale per la produzione artistica contemporanea, una ricerca di senso e fame di bellezza. Ho già avuto modo di osservare che la grande rimozione del 900 è stata il bisogno di bellezza e che questa alienazione sta anche alla base della crisi ecologica. Nel mio libro L'altro architetto ho sottolineato il fatto che l'arte nel corso del secolo scorso ha abbandonato il suo fine classico, la bellezza, un sogno etico ed estetico che rifletteva una tensione verso il trascendente da individuare nella interpretazione della natura attraverso l'opera dell' artista-profeta che proprio per questo aveva un ruolo importante nella società antica. Del resto in Grecia sono  i poeti e gli artisti che tramandano i miti della religione, l'artista è un sacerdote della bellezza cosmica. Cosmos infatti è ben diverso da universo con cui lo si traduce, è un ordine che segue norme di natura estetica, ogni cosa al  posto giusto. Quando la cultura occidentale ha abbandonato il fine della bellezza, e questo è accaduto a partire dal 600 ad opera della filosofia e della scienza, specialmente con Cartesio, allora abbiamo avuto la perdita del ruolo degli artisti e la nascita del gusto. Si è passati da un'arte che aveva il  compito di trovare l'universale ad una soggettiva, individuale, che il romanticismo ha ulteriormente esaltato nella libertà e originalità dell'artista. Da lì nascono tutte le storture che oggi riscontriamo nelle degenerazioni espressive contemporanee, manifestazioni di disagi interiori e rappresentazioni di stati patologici dell'animo umano, e chi più ne ha pìù ne metta, in una corsa alla provocazione tout court per sentirsi all'avanguardia. A questo si è aggiunto il mercato del collezionismo che da una parte ha liberato l'artista dalla dipendenza dai committenti tradizionali, aristocrazia e clero, ma dall'altra ha trasformato il fine della bellezza in avidità di denaro. Questa è la situazione attuale dove non vi sono più regole se non quelle del mercato, anche in ragione della trasformazione in economia del valore di un oggetto, dal quello d'uso a quello di scambio.  Rimane tuttavia nell'inconscio collettivo la nostalgia per la natura antica dell'arte che è quella originaria degli sciamani di Lascaux, cioè della ricerca del trascendente e dell'unione cosmica ed è questo che noi andiamo cercando. Florenskij diceva che il vero artista sale nudo al mondo ultrasensibile e ne discende con verità ineffabili, l'impostore invece sale presuntuso pieno di preconcetti e ne discende con i suoi fantasmi. Questa rimane la differenza tra arte e non arte ma è difficile riconoscerla perchè anche l'osservatore deve saper guardare e andare nel profondo, da qui il coinvolgimento soggettivo e interpretativo. Insomma l'arte dovrebbe toccare le corde emotive più intime che sono di natura estetica e sacra ma bisogna vedere se noi siamo in grado di ascoltarle, questo richiede educazone e sensibilità, il contrario di interesse mercantile.

lunedì 18 maggio 2015

Della pena di morte

                                                    Fico d'India, acquarello su carta.

Il tribunale di Boston ha condannato alla pena di morte il giovane terrorista ceceno che durante la maratona di due anni fa, insieme al fratello, fece esplodere  due bombe procurando la morte di tre persone. Questa condanna verrà eseguita mediante iniezione letale. Lo stato del Massachusetts ha abolito da anni la pena di morte ma quel delitto viene considerato federale ed è prevista quella condanna. Gli Stati Uniti dunque non vogliono allinearsi con la maggior parte  dei paesi occidentali il cui sistema giudiziario ha soppresso tale pena. Ogni tanto la legge del taglione viene applicata nonostante ogni volta susciti riprovazione nel mondo civile e scateni campagne mediatiche contrarie.  Già nel 1859 Victor Hugo scrisse una lettera, pubblicata su tutti i giornali liberi d’Europa, rivolta all’America per scongiurare l’ esecuzione della condanna all’impiccagione di John Brown sostenitore della liberazione degli schiavi. Ma invano. Tale fatto contribui  a scattenare poi la guerra civile. Non si vuole intendere insomma che la vita di un uomo non appartiene allo Stato e che affermare questo significa avallare un pensiero riduttivo e consumistico della vita  che giustifica un assassinio, sia pure legale.Non mi capacito come in un paese civile ci possano essere ancora delle persone che di professione fanno il boia, come non si comprenda che un atto cosi violento non faccia che elevare il livello di violenza insito in quella società. Tant’è che gli omicidi avvengono con più frequenza. In sostanza la violenza di Stato scatena la violenza privata, non è vero che la paura di una tale condanna fa da deterrente al manifestarsi di azioni analoghe. L’ahimsa di Gandhi, non capisco come l’India non abbia compreso il messaggio, la non violenza, è una condizione prima mentale e poi fisica. Dunque una popolazione che accetta la pena di morte è già in un atteggiamento di violenza mentale che la rende corresponsabile di quell’assassinio e se è questa la situazione come è possibile che esca dalla condizione riduttiva di un pensiero dicotomico e paranoico che vede nella distruzione di un nemico la propria salvezza ? E’ questa legge dell’occhio per occhio e dente per dente, che spesso ipocritamente viene  rimproverata a popolazioni considerate meno civili, che vale la pena di mettere in discussione perchè finchè sarà la caratteristica della giustizia di un paese non si puo’ sperare di migliorarne la convivenza civile. Gli assassini e i delinquenti non nascono sotto i cavoli ma da un substrato di coscienza collettiva che contiene in se il germe della violenza che si manifesta in personalità poco evolute. Ordunque non si puo’ pensare di guarire la violenza con altra violenza, non si fa che incrementarne la densità. L’odio viene guarito dall’amore ma la paura lo allontana. Del resto già il nostro Cesare Beccaria aveva spiegato che non vi è paragone fra un omicidio privato ed uno pubblico, l’uno nascosto nell’ombra con tutte le conseguenze di rimorsi e sensi di colpa, vedi Delitto e Castigo di Dostoevskij, e l’altro reso spettacolare ed esaltato come atto di giustizia che viene decretato e sadicamente procrastinato nei bracci della morte dove per anni il detenuto soggiorna in attesa del giorno fatale. Spero, come già affermava Hugo, che il paese della Libertà si renda conto finalmente della sua incongruenza.  


venerdì 8 maggio 2015

Expo e Noexpo

                                       Per informazioni inviare una email

Oggi vorrei parlare di Expo e di Noexpo. Questa manifestazione mondiale che doveva essere il fiore all’occhiello di Milano rischia di diventare il motivo dominante per i prossimi dibattiti preelettorali. Vale a dire che un evento di coinvolgimento globale diventa uno spunto per le beghe di cortile della nostra politica. Il tema della manifestazione con le sue implicazioni ecologiche prometteva molto ma c’era anche da aspettarsi che le potenti multinazionali del cibo se ne approfittassero per farsi publicità. Del resto è nella natura di queste esposizioni prestarsi alla esibizione del potere della tecnica. Sono nate proprio per mostrarlo verso la metà dell’ottocento, secolo della cieca fiducia nella scienza. L’ultima edizione toccata all’Italia, sempre a Milano nel 1906, infatti, aveva come tema i trasporti, in omaggio al traforo del Sempione appena inaugurato, e fu realizzata in Piazza d’Armi, attuale ex Fiera.  E’ chiaro che i centodieci anni passati da allora hanno cambiato di molto la nostra sensibilità rispetto all’impatto della tecnica sul mondo naturale. Due guerre mondiali con milioni di morti e soprattutto lo sviluppo delle armi ci hanno obbligato a guardare con una certa paura e diffidenza i prodotti delle scoperte scientifiche soprattutto in ragione del fatto di aver messo nelle manni di pochi la possibilità di distruggere tutti. Ora in tempi di globalizzazione e di crisi ecologica, le comunicazioni e i trasporti si sono accelerati a dismisura tanto  che è da condividere l’opinione di Marc Augè sugli eccessi della contemporaneità : eccesso di tempo, eccesso di spazio ed eccesso di individualismo.  Bisognava tenerne conto nella progettazione dell’evento, come bisognava tener conto che un tema simile, Nutrire il pianeta, in un momento di crisi planetaria con le periferie in rivolta, poteva scatenare reazioni contrarie. Non voglio entrare nel  merito delle violenze degli antagonisti o casseur, comunque in quanto violenze da condannare, ma si sa da sempre che la rabbia accumulata poi si scatena in atti violenti, per fortuna nel nostro caso perlopiù sulle cose. Il  fatto che l’organizzazione abbia preferito destinare un’area apposita all’evento , anzicchè ad esempio diffonderlo in più punti della città, trasformandolo cosi  in una specie di Gardaland del cibo, ha contribuito ad isolarlo dal contesto urbano e creerà problemi circa il riutilizzo di quelle aree a fine Expo. Mi pare insomma che, come al solito, si siano privilegiati gli interessi dei potenti e i vecchi schemi organizzativi. Non voglio dire che cosi  si sarebbero  evitate le contestazioni ma almeno si sarebbe comunicato un messaggio più consono ai tempi che, come dicevo, non sono quelli d’inizio novecento con l’ubriacatura di euforia  per il progresso tecnico scientifico. 

sabato 25 aprile 2015

I migranti

                                           Per informazioni mandare una email

Di fronte alle immagini dei bivacchi in stazione centrale a Milano ed alle tragedie dei migranti che muoiono a centinaia nel tentativo di varcare il canale di Sicilia per sbarcare in Italia si rimane allibiti. Come è possibile che delle persone si sobbarchino disagi di ogni sorta pur di coronare un sogno di benessere e libertà ed infine finiscano in fondo al mare per la spietatezza ed il cinismo di altri uomini? Le domande che affiorano alla mente sono queste. Stavano così male al loro paese, con i loro amici e parenti, la loro natura, il loro paesaggio, i loro governanti? Possibile che delle persone adulte siano tanto sprovvedute da farsi vittime di questi scafisti carnefici  da salire, a pagamento, su battelli superaffollati che sempre più spesso finiscono per naufragare? Tento di darmi delle risposte anche in relazione a interviste fatte a qualche immigrato colto dai nostri giornali. Se nel paese in cui hai avuto la ventura di nascere ti costringono con la violenza a rinunciare ai tuoi diritti di uomo, sei privato della libertà di dire o di fare alcunchè, sei sfruttato nel lavoro senza guadagno, o addirittura sei disoccupato e non puoi sfamarti e sfamare la tua famiglia che vedi soffrire e morire il sogno di una vita migliore è quello che ti impedisce di suicidarti moralmente o fisicamente. Ognuno ha il desiderio di una vita migliore e pensa che andando lontano venga esaudito, per di più in paesi che vivono nel consumismo più smodato e nell'abbondanza di quei beni essenziali che noi fatichiamo a procurarci tanto più se questo bengodi viene esibito dalla pubblicità dei mass-media che ovviamente nascondono le ingiustizie sociali. La nostra televisione, fruita anche in Albania, ha provocato negli anni passati le grandi migrazioni dei cittadini di quel paese verso i nostri lidi. E' nella natura dell'uomo aspirare alla felicità e spesso si crede di trovarla nei beni di cosumo, soprattutto se questi scarseggiano, ma anche nella libertà di espressione quando questa manca. Il sociologo Roberto Guiducci alla fine degli anni ottanta scrisse un libro profetico, dal titolo "L'inverno del futuro", che descriveva queste grandi migrazioni da est e da sud di questo nuovo quarto stato che sta invadendo il ricco Occidente. Del resto le guerre non sono forse state dichiarate in nome di un sogno di benessere o di potenza mandando a morire i paria delle società promettendo una vita migliore? Oggi più che mai non si può vivere separati rinunciando a vedere come vive il vicino, tutto il mondo è ormai interrelato e l'azione di un popolo, anche senza volerlo, provoca la reazione di un altro pur anche in tempi dilatati. In buona sostanza l'Occidente paga le sue violenze e ingiustizie passate del colonialismo e della tratta degli schiavi. Ora è necessario vedere il fenomeno alla luce di un pensiero creativo e sistemico: quello che oggi appare un problema può risultare una risorsa, come già succede in alcuni casi. Ma soprattutto può trasformarsi in un'occasione per ripensare i rapporti fra Stati, anche in relazione ad una ONU ormai superata perchè frutto di assetti voluti dai vincitori della seconda guerra mondiale in un mondo diviso per nazioni e per frontiere. Oggi non dovrebbero essere le armi a decretare la potenza dei paesi membri ma la capacità di risolvere i problemi umanitari in una dimensione globale. Una proposta per risolvere la questione degli sbarchi clandestini potrebbe essere quella non di contrastare ma di regolamentare questi flussi istituendo, ad esempio, un servizio legale di traghetti verso l'Italia, in accordo con la Ue che se ne deve assumere la responsabilità, dove chi ha le condizioni per essere accettato possa attraversare il mare in tutta tranquillità e così non si lascerebbe più totalmente in mano agli scafisti il trasporto di questi diseredati.