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martedì 19 aprile 2016

Impatto ambientale

A proposito del referendum sulle trivelle del Mar Adriatico fallito miseramente per non aver raggiunto il quorum riporto quanto scrivevo nel mio libro “L’uomo, l’ambiente, la casa” sulla questione dell’impatto della tecnologia sull’ambiente. La valutazione di impatto ambientale  è un fenomeno tipico della nostra civiltà, che si avvelena e poi controlla che il veleno non sia mortale.  Pertanto essa costituisce a monte un problema di natura culturale, controllato negli effetti con le tecniche delle scienze naturali riconducibili alle scienze esatte. Esiste pero’ un importante aspetto della valutazione di impatto che sfugge alla valutazione delle scienze chimico-fisiche ed è l’impatto di natura visivo-percettiva.Si tratta di un impatto totalmente psicologico, legato alle opinioni di chi fruisce l’ambiente, cioè l’abitante, pertanto verifiche e valutazioni sono da affrontarsi solo con quelle discipline legate ai fenomeni culturali. A questo punto credo sia onesto sottolineare che se nella valutazione di impatto basata su considerazioni di ordine scientifico, chimico-fisico, pur essendoci una buona dose di aleatorietà, è pero’ possibile una certa obiettività, nella valutazione “culturale” dell’impatto tutto è molto più complesso perchè entrano in gioco fattori diversi, legati appunto alle tendenze culturali, ai rapporti tra cultura dominante e culture subalterne ed anche al sapere non scientifico. Impatto, come si diceva, presuppone già una sorta di scontro tra l’intervento dell’uomo e l’ambiente preesistente; una mentalità che bene o male rifiuta questo scontro, ma ricerca l’armonia è sicuramente la migliore garanzia di corretta valutazione di impatto. Infatti quando il  dott Paul Racamier afferma che i “malati mentali” sono molto più sensibili alla struttura fisica e all’aspetto dello spazio in cui vivono di quanto non lo siano le persone cosidette normali, cio’ deriva dal fatto che le persone cosidette normali sono, in realtà, normalizzate, adattate a forza al loro nuovo ambiente. Se si assimila dunque la nostra cultura a una cultura di normalizzati la valutazione degli effetti di impatto psicologico sarebbe già in se sbagliata se rapportata solo alla nostra cultura. In realtà il primo impatto di un intervento dell’uomo nell’ambiente è di natura visivo-percettiva, cioè mentale, e quindi psicologica, antropologica e sociologica. Allora la prima cosa da chiedersi quando si debba intervenire in una data regione credo proprio che sia se la cultura (o le culture) ivi presenti siano in grado di accettare, senza troppi contraccolpi cio’ che si deve insediare, sia un opificio o una strada o una centrale elettrica o infine delle piattaforme per la ricerca del petrolio. Il geografo Eugenio turri aveva brillantemente analizzato in Semiologia del paesaggio italiano come una trasformazione violenta del paesaggio ad opera della nostra civiltà tecnicista possa incidere sulla psicologia della popolazione locale legata  a quei luoghi da generazioni.  A questo una politica della bellezza dovrebbe  tendere.


lunedì 18 aprile 2016

Natura naturae



Siete tutti invitati a discutere su natura in città

lunedì 4 aprile 2016

Dell'eleganza in città

                                               Borgo ligure, acquarello su carta

Oggi un’altra categoria in crisi è l’eleganza. Essa ha a che fare con la bellezza. Deriva dal verbo latino elegere che è un rafforzativo di legere corrispondente  sia all’italiano scegliere che leggere. Eleganza vuol dunque  significare saper scegliere. E’ sinonimo di grazia, accuratezza, garbo, leggiadria, ricercatezza, gentilezza. Il contrario di trascuratezza e sciatteria. Eleganza vuol dire anche cura e attenzione.  Un’architettura elegante è quella che deriva da una cura particolare nella scelta delle misure, dei rapporti geometrici, dei materiali e della decorazione. La sezione aurea, per esempio, è il rapporto più elegante in natura, scoperto dagli egizi e dai greci empiricamente. Misura è un’altra versione di eleganza. E’ elegante un manifatto che denota energia non sprecata. Anche dal punto di vista statico è elegante un’opera che mostra forza e al tempo stesso grazia, dove si intravede studio e rispetto, dove un problema complesso è risolto con semplicità: semplicità e complessità sono due opposti che la bellezza contiene e tende a far coincidere, come altri, con eleganza. Coincidentia oppositorum, dichiara Niccolo Cusano per denotare la bellezza divina.  Ecco! eleganza come lettura divina, giusto equilibrio fra gli opposti.  A noi sembra elegante un’opera umana che si contrappone alle forze naturali con il minimo sforzo, come le cattedrali gotiche,, nelle quali le pietre pesanti sfidano la forza di gravità e sembrano esaltare la leggerezza per raggiungere grandi altezze. Ancora due opposti che si uniscono, pesantezza e leggerezza, come si puo’ notare la bellezza è misteriosa. Oggi non c’è molta eleganza nella società globalizzata, cosi come nell’architettura evento mediatico conseguente. (da L’altro architetto,  Casagrande editore)

martedì 15 marzo 2016

Della bioarchitettura

                                                  Antibes, acquerello su carta

Da tempo l’ecologia da pura scienza della natura si  sta trasformando in un nuovo pensiero che investe anche le discipline umanistiche e in generale tutta la cultura di questo inizio millennio. Ogni tanto nella storia dell’uomo si presenta la necessità di cambiare il paradigma di partenza per una nuova interpretazione della realtà che permetta un migliore adattamento e uno scatto evolutivo. Di questi tempi è l’approccio sistemico bioecologico che in tutti i settori sembra costituire la nuova opportunità.  E’ inevitabile riflettere che questa nuova opportunità è in effetti molto antica, ma la nostra cultura, protesa verso altri traguardi l’ha trascurata. La sfida che oggi abbiamo di fronte è quella dell’accettazione della complessità e non separatezza delle cose. Ogni disciplina dunque puo’ essere riletta in questa chiave e l’architettura, essendo per tradizione la meno specialistica, bene si adatta ad essere rivisitata da un punto di vista ecologico ed olistico.  

Questo scrivevo nella premessa al mio libro L’uomo, l’ambiente, la casa. Verso un’etica bioecologica dell’architettura, del 1992, Guerrini Editore.  E’ cambiato qualcosa? E’ evidente che no. Siamo ancora li’ a dire le stesse cose come se  non fossero passati tutti questi anni. Gli architetti sono sempre più numerosi in Italia ma senza lavoro e l’architettura è sempre più appannaggio di investitori con la vanità di mostrare il proprio potere economico attraverso l’esibizione di edifici eventi che si stagliano anomali sulla città. Azioni contro la città anzicchè al servizio di essa. La cosidetta bioarchitettura, di cui noi siamo stati i precursori, ha solo costituito un ulteriore modo per distinguersi, narcisistico ed egoico, da parte di architetti e committenti che hanno voluto mettere in mostra la loro originalità. In alcuni casi archistar internazionali, che mai hanno mostrato sensibilità alla tematica ambientalista, ora si sono riciclati in senso ecologico rivestendo i propri grattacieli di elementi naturali e avanzate tecnologie pseudoecologiche. Qualcuno afferma che l’architetto dovrebbe essere un’antenna sensibile ai cambiamenti e dunque quello che in anni recenti era dettato dall’esaltazione del credo tecnoscientifico oggi è dettato dalle mode eco.  Ma in questo panorama l’integrazione dell’architettura nella città viene tranquillamente dimenticata e l’architetto Carlo Ratti pensa di costruire un edificio di 1609 metri coprendolo di elementi vegetali dei vari paesi, quasi un’Expo in verticale.

sabato 27 febbraio 2016

Moda e arte

                                     La Santa, acquarello su carta, cm 30x40

Leggo sui giornali che la moda ha adottato l’arte ma esiste una sostanziale differenza tra le due benchè spesso la moda si definisca appannaggio dei creativi. Le mode infatti (con questo intendo tutto cio’ che fa tendenza) enfatizzano le aspirazioni collettive del momento e siccome questo è sempre intrecciato con il potere e con l’invidia di esso, e dei suoi simboli,  mettono in scena  quanto è status symbol del momento. Che poi cambia per generare nuovi consumi, a volte visti con assolutismo perchè si aspira ad un proprio potere. La moda quindi semplifica e falsa, dando malessere e frustrazione se si trasferiscono su di essa i valori della vita. La bellezza, che dovrebbe essere alla base della ricerca artistica, sta nella diversità e nella complessità perchè funzionali alla vita. La moda dunque , se viene  investita delle nostre esigenze di assoluto e la si trasforma in culto, allora diventa una droga per anestetizzare i veri bisogni di unificazione.  Alla domanda quindi in che cosa consista la differenza tra moda ed arte si puo’ rispondere che la moda è una parodia dell’arte. Mentre la vera arte pesca nella bellezza cosmica la moda cerca di costruire modelli cui aderire. Qualche volta si serve dell’arte ma mentre quest’ultima  scava in profondità e trova la natura estetica dell’essere che dà libertà ed armonia, la prima utilizza il più delle volte il fascino del potere per creare falsi modelli di perfezione e provoca asservimento se non la si prende come un futile gioco. I giovani sono esposti a questo in quanto sentono più forte il bisogno di appartenere a qualcosa di esteriore: una comunità, un paese, una squadra  ecc. Il bisogno religioso di bellezza, e quindi cioè di unità interiore, negato si degrada dunque in bisogno di aderire a modelli esteriori imposti.  Tanto più uno è diviso dentro e tanto più si attacca a modelli esterni che sono dei sostituti di unità e quindi di amore. Si potrebbe dire che la moda è inerente allo stato di coscienza ordinario, quello causale funzionale, l’arte invece è tipica dello stato di coscienza acausale, simbolico e quindi straordinario.L’arte cerca e trova, la moda cerca e, non trovando, imita. Il fenomeno della moda è più eclatante nel campo dell’abbigliamento perchè vestirsi è comune a tutti gli uomini, che bene o male soggiacciono alle mode, ma esiste anche in tutti gli altri campi tipici dell’arte e soprattutto è presente in quello che riguarda l’abitare, altra funzione connessa all’essere uomini. Di per sè imitare non è assolutamente negativo, anzi. Anche un grande poeta come Goethe difendeva l’imitazione purchè subordinata alla verità. Per cui seguire mode non è  in sè un  male, a meno che non siano palesemente distruttive o autolesive, ma come al solito tutto si complica quando viene introdotto l’elemento potere.  Se uno pensa di acquisire più potere,  quindi prestigio, e si investe il fatto esteriore di un valore assoluto la moda allora diventa competizione vitale: se riesci a seguirla sei qualcuno se no non sei nessuno. In questo caso è un fattore alienante perchè impedisce la vera crescita che è trovare il Sè, ovvero quella parte che ci mette in sintonia con il mondo e con la natura, che è essenzialmente artistica e ci dà benessere ed energia. L’arte vera infatti è sempre un’ operazione di risacralizzazione  e quindi trasfigura i mezzi materiali di cui si serve. La moda ha un fine economicistico e utilitaristico che si scontra con le esigenze ecoantropologiche di equilibrio creativo. Nell’arte i mezzi materiali diventano oggetti di culto, nelle mode vengono consumati, buttati e finiscono nelle discariche.  

mercoledì 10 febbraio 2016

La crisi dell'amicizia

                                                    Infinito, olio su tela

Aristotele distingueva tre tipi di amicizia, quella per l’utile, quella per il piacere e quella vera disinteressata per il bene comune. Oggi possiamo affermare che nella società del capitalismo avanzato e dei social-media, dove si chiede e si dà l’amicizia via internet, trionfano le prime due ma è senza dubbio in grave crisi l’ultima. Amici nella tradizione sono due persone che entrano in un rapporto di intimità e di simpatia per aiutarsi e sostenersi. Non è mai stato facile trovare un amico infatti un vecchio proverbio recita: chi trova un amico trova un tesoro, a sottolineare che un vero amico è raro. Tuttavia in una società meno competitiva, come quelle del passato,  era sufficientemente possibile, oggi nella nostra civiltà dei consumi è molto raro. E’ più raro di un rapporto d’amore. L’amicizia, quella del terzo tipo, presuppone saggezza e distacco, un ego realizzato e una buona dose di gioia fondamentale. Senza questi ingredienti si cade nell’invidia, nella gelosia e nella rabbia. Tutte emozioni negative che avvelenano l’amicizia.  Un amico è colui che prova piacere dei tuoi successi e dispiacere per le tue sconfitte e i tuoi lutti ed è pronto a darti una mano. Invece si nota che nella nostra società individualista ognuno tende sempre a misurarsi con l’amico in ragione di una specie di gara verso il successo. Questo lo impariamo presto, a scuola i primi anni ci insegnano a gareggiare nel profitto e gli insegnanti ci stimolano a questo credendo cosi di ottenere di più. Ma non è cosi. Quando insegnavo avevo adottato un metodo in cui il bravo doveva aiutare il meno bravo in un lavoro collaborativo ottenendo risultati sorprendenti.  Tutti alla fine vogliamo essere felici, realizzarci, scoprire il significato della nostra esistenza e compierlo,  desideriamo che le altre persone ci amino e ci rispettino e vogliamo sentirci sicuri. Il vero amico ha compreso questa nostra uguaglianza e non si scandalizza se in questa ricerca ci allontaniamo per un po’. Non è geloso e non prova invidia.  Accetta che ognuno ha un percorso diverso da compiere nella vita per la propria realizzazione e, cosciente del proprio, non desidera sovrapporsi a quello dell’altro, anzi è interessato a comprenderlo e sa che lo arricchisce perchè è la manifestazione dello stesso Spirito che alberga in lui e prende diverse forme. Il termine sanscrito “namastè”, che è un saluto indiano, vuol dire proprio questo: riconosco in te lo spirito che è in me. Come si potrà notare questa realtà amorosa è piuttosto rara.  A volte si diventa amici perchè si hanno gli stessi interessi e valori. Questo accade sovente in politica e fra maestri e allievi ma questa amicizia tende a finire quando l’allievo si mette a competere e vuole superare il maestro. Le virtù che reggono l’amicizia sono l’onestà, la coerenza, la stima, la dignità, l’umiltà, la compassione, la comprensione, la tolleranza e la generosità, tutti attributi lontani dalla egolatria imperante nella nostra società individualista. Questo vale anche per le coppie  nel rapporto erotico che in più hanno l’attrazione sessuale e potrebbero rientrare nelle amicizie per piacere. Infatti se non si matura una amicizia vera, con il passare del tempo e con l’inevitabile caduta del desiderio, finiscono. Per quanto riguarda le coppie etero poi si debbono superare due archetipi che dormono in ciascuno, dominano il rapporto maschio femmina e influenzano sempre la scelta del partner: il mito dell’eroe per lei e il mito della maga fascinatrice per lui. E arriviamo all’amicizia dei politici. Quella la possiamo ascrivere in generale nella categoria aristotelica dell’utile, in una mentalità dicotomica che divide la realtà in amici e nemici in funzione del raggiungimento del potere. Queste amicizie sono ovviamente transitorie e superficiali, ognuno pensa alla propria convenienza e sono pompate dai mass-media e dai sostenitori. Torniamo ad affermare che l’amicizia è una cosa seria per persone illuminate, rare oggi e soprattutto fra i politici.


lunedì 25 gennaio 2016

Poetica del paesaggio agricolo storico

                                      Papillon, acquarello su carta

 Oggi il naturale (nel senso di evoluzione senza intervento dell’uomo) non prevale più, è anzi in strettissima minoranza sulla crosta terrestre e in specie da noi in Europa, e in Italia in particolare,  per cui quello che rimane è ormai cosi poco che è sempre bello interessante e necessario. Il concetto di bellezza insomma appare spostato dall’arte alla natura, mentre prima bella era solo l’arte e la natura era bella dove il concetto estetico dominante trovava la propria conferma. Per dirla con Kant “ La natura era bella quando aveva l’apparenza dell’arte. A dire il vero l’ambientalismo più serio oggi si accorge che non vi è contraddizione tra naturale e artificiale qualora l’uomo abbia interpretato le sue esigenze più profonde e non abbia dato libero sfogo al suoi impulsi distruttivi, infatti Kant aggiunge:”E l’arte non puo’essere bella se non quando noi, pur essendo coscienti che è arte la consideriamo come natura”. L’artificiale è il naturale trasformato e se è la creatività che ha prevalso (come profonda natura genuina dell’homo faber) dà altrettanto benessere che il naturale autentico, anzi lo stesso naturale autentico, come si diceva, risulta in questa logica prodotto di una scelta creativa dell’uomo che individua come necessario e bello lasciare le cose come stanno. In sostanza questo concetto è assimilabile  al fare di coloro che creano opere d’arte raccogliendo e scegliendo elementi naturali per lasciarli cosi come sono.  La creatività dell’uomo sta nella selezione, nella cernita, nel riconoscere la superiorità delle forze creatrici della natura, nell’essere umile e scoprire che in determinate circostanze è meglio non intervenire. Questo non significa disprezzare la propria opera modificatrice, anzi significa valorizzarla individuando dove questa è necessaria e quindi “bella” e dove  no e quindi brutta.  Passando dunque a considerare il paesaggio agricolo storico possiamo dire che esso è il risultato della modificazione del selvaggio mediante elementi naturali, o meglio, mediante elementi organici viventi. L’uomo è stato guidato nella trasformazione agricola da preoccupazioni ben lontane da intenti estetici coscienti, pero’ nel paesaggio storico si nota un aspetto caratteristico dell’attività umana: quando prevale la creatività, sia pure inconsapevole e determinata da necessità contingenti, si ha benessere psichico. L’attività agricola tradizionale, in effetti, costituiva l’incontro creativo tra l’uomo e la natura: essa viene conosciuta e incanalata verso una maggiore capacità di vita, ecco perchè il mondo rurale ha sempre destato sensazioni di benessere. L’agricoltura tradizionale ha si  modificato l’ambiente naturale ma plasmandolo con le proprie mani nello sforzo umile e generoso di adattare il naturale ai bisogni fondamentali di vita e quindi a uno scopo creativo, non distruttivo.Le  mani dell’uomo e la terra hanno costituito una sintesi che, mossa da questo fondamentale intento creativo di dare più vita, più fiori, più frutti, il più delle volte ha prodotto un risultato anche estetico. Spesso il paesaggio che ne deriva è il risultato di uno sforzo collettivo che inconsciamente è artistico se per arte con Carl G. Jung si intende la capacità di esprimere le forze primigenie del nostro inconscio collettivo che sono tensione tra materia e spirito, tra profano e religioso sempre alla ricerca di nuove sintesi al fine di una esperienza del tutto. O anche se, con William Morris, si afferma che l’arte è il prodotto della gioia del proprio lavoro a un fine creativo. Se ancora, per godimento estetico si intende la capacità , attraverso l’arte , di  raggiungere l’intuizione del tutto e il sentimento dell’appartenenza quale visione, quale panorama più di quello di un paesaggio agricolo storico dona questa sensazione? Non per nulla un personaggio come Francesco d’Assisi, che è uno dei pochi esempi occidentali del sentimento dell’appartenenza, cresce in un ambiente  antropico-naturale come l’Umbria che esprime ad altissimo livello la sintesi cui si è accennato. Tutto cambia con l’introduzione delle tecnoscienze in campo agricolo alimentare in epoca moderna.