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giovedì 10 novembre 2016

Elezioni americane

                                               Fiori allo specchio, olio su tela 2013

Poiché tutti commentano la sorpresa della vittoria di Donald Trump alla corsa per la Casa Bianca cerchero’anch’io di dare una interpretazione a questo evento. Ho già scritto su questo blog nel 2013 un post su la politica ai tempi della televisione che poi è stato pubblicato anche su Corriere online. In sostanza lamentavo nelle democrazie occidentali ipermediatiche la scissione fra i cittadini e la rappresentanza politica. In tempi in cui i mass media erano molto ridotti la elaborazione teorica avveniva nei circoli e nei salotti borghesi e trovava uno sbocco attraverso il passaparola di attivisti che si assumevano il compito di divulgare il nuovo messaggio. Basti pensare ai rivoluzionari russi piuttosto che al nostro Mazzini che dalla clandestinità influenzava l’azione di migliaia di giovani. Esisteva cioé un rapporto diretto fra la elaborazione delle idee politiche e la loro applicazione. In regime di sovrabbondanza dei media, soprattutto la televisione,che vengono manipolati da gruppi di potere interessati si ha un allargamento dell’informazione ma al  contempo un abbassamento del livello di autonomia intellettuale. In sostanza veniamo trasformati da cittadini in consumatori passivi e la politica diventa marketing televisivo, come qualsiasi prodotto di consumo.Le elezioni americane sono un esempio emblematico di quanto detto infatti i candidati investono molto in spot pubblicitari e usano a dismisura il mezzo televisivo per autopromuoversi, il sostegno di media é essenziale per la campagna presidenziale. Tutta questa organizzazione del consenso a volte infastidisce e mostra l’arroganza tipica del potere di sostituirsi in toto all’opinione reale della gente che, benchè anestetizzata, tuttavia non è stupida e qualche volta reagisce in modo imprevedibile. Nel caso suddetto Hillary aveva il sostegno di tutti i media ma ha perso proprio perchè non piaceva, troppo immersa nell’apparato, e vi è stata una sorta di ribellione al cosidetto establishement. Non è che Trump non sia un prodotto televisivo, lo è e come,  tuttavia dà l’impressione di essere più originale e fuori dalla casta politica. Interpreta insomma l’istanza di rinnovamento che serpeggia nei cuori della gente costretta a subire le decisioni più che partecipare a prenderle. E’ chiaro che ambedue i candidati non sono che burattini nelle mani dei poteri economici. Come dicevo a proposito del berlusconismo lo spirito di un’epoca trova poi il modo di incarnarsi in un soggetto che si trova nel posto giusto al momento giusto ed è spinto dalla sua divorante ambizione. Tump oggi é l’espressione di questa esigenza di più fantasia al potere, speriamo che riesca a stupirci.      

mercoledì 26 ottobre 2016

Dei parchi urbani

                                              Giardimi Montanelli, acquarello su carta, 2009

Vedo sui giornali che a Milano si dibatte molto intorno alla destinazione a verde degli  ex scali ferroviari ed anche di altre aree, come se questa destinazione in se costituisca una panacea di tutti i mali della città. Ecco cosa scrivevo a proposito dei parchi su L’altro architetto.

Il problema del verde in città è annoso e si trascina dalla prima rivoluzione industriale. In genere nella città europea i parchi centrali sono i giardini dei palazzi nobiliari di un tempo, che sono diventati pubblici. All’esterno sono invece aree faticosamente sottratte alla speculazione edilizia e attrezzate per il tempo libero. Ora, non è detto che grandi aree verdi, a parte il benefico effetto sul clima urbano, siano luoghi di delizie: occorre che prima di tutto vi sia una buona sorveglianza, i quartieri che vi si affaccino non siano solo malfamati, e che quindi il parco non diventi a sua volta un non-luogo, abbandonato in certe ore del giorno. Esso va vissuto. Sarebbe meglio avere tanti piccoli giardini che non grandi parchi che nessuno gode. I grandi parchi dovrebbero funzionare come oasi del continuum costruito, dove chi vuole può avere la possibilità anche di praticare l’agricoltura e coltivarsi un orto: allora si avrebbe una presenza continua di persone che tornano alla natura per lavorare la terra come un tempo, con una produzione di frutti che può costituire una risorsa. Del resto anche il paesaggio agrario che circonda le aree urbane ha una sua nobiltà storica, che dovrebbe essere difesa. Vivendo nelle città, spesso, ci dimentichiamo che è dalla natura che scaturisce la vita, anche la nostra, e quindi il sentimento legato alla bellezza, che ce la fa scoprire, si rivolge in primis a lei, se accettiamo la definizione: bellezza uguale rispetto per la vita. La natura quindi è bella in quanto, per dirla con i Greci, è manifestazione di cosmos, ovvero dell’estetica dell’essere. Tuttavia in natura vigono le differenze: ogni organismo e luogo hanno un loro potenziale energetico relativo alla loro funzione nel sistema. Certi organismi noi li vediamo brutti perché li togliamo dal loro contesto vitale e proiettiamo su di loro le nostre parti poco gradevoli. Alla domanda se, allora, sia bella solo la natura, si può rispondere che è bella la natura, ma è altrettanto bella la produzione artistica in chiave ecologica. Ecco perché i giardini, i parchi e gli alberi nelle città ingentiliscono e umanizzano panorami artificiali a volte squallidi e costituiscono una componente estetica non indifferente nelle aree abitative e lavorative. Da L'altro architetto . Giampiero Casagrande editore

venerdì 30 settembre 2016

Ancora di periferie

                                            L'albero dei poeti, acquarello su carta 2011

Perchè è cosi difficile risanare le periferie? Come già esposto in un mio recente articolo è stata la prima rivoluzione industriale a generare i grandi agglomerati periferici, in Francia chiamati banlieues.Le fabbriche si sono stabilite fuori dalle mura della città storica ed hanno pompato manodopera, dalle campagne prima, dai paesi sottosviluppati e dal terzo mondo poi, che avendo necessità abitative ha obbligato amministratori e imprenditori a costruire case nel circondario. Quando le fabbriche si sono trasferite, nel processo di terziarizzazione della città, sono rimaste le case con i grandi buchi delle aree ex industriali. Queste abitazioni naturalmente non brillano per qualità e soprattutto spesso mancano delle infrastrutture necessarie che  l’amministrazione pubblica o i privati lasciano in sospeso per anni. E’ emblematica la questione dei problemi legati all’igiene edilizio nella fine ottocento in Inghilterra e da noi nella prima metà del secolo scorso.Molte volte questa situazione è durata per diverso tempo tanto da far crescere due o tre generazioni di abitanti in situazioni precarie. Questa realtà ha provocato e approfondito il solco che separava e separa i diseredati dai  privilegiati, ovvero i poveri dai ricchi, oggi in regime di globalismo e di sviluppo dei trasporti è più profonda la disuguaglianza fra periferia e centro di una stessa città che tra paesi diversi. Teniamo presente che ormai il termine “periferico”si applica a tutto cio’ che viene trascurato. Infatti la casualità e l’abbandono, oltre alla trascuratezza, sono lo stigma di queste conurbazioni dove regna il disprezzo per la vita comune. Plotino affermava che è brutto cio’ che la nostra anima trascura, cioè senza cura, è evidente dunque che le categorie del brutto le troviamo prevalentemente in periferia. Naturalmente cio’ non è sempre vero ma nell’immaginario comune è cosi. Ora per rendere il brutto bello occorrono primariamente da parte del soggetto pianificatore cura, attenzione e amore ma non è semplice in una popolazione abituata da sempre al brutto. La cura è qui intesa come esecuzione a regola d’arte, l’attenzione è il contrario di negligenza e disattenzione, nel nostro caso rispetto al sito e all’utenza, il risultato migliore essendo sempre quel manufatto che si potrebbe considerare come se fosse sempre esistito: cioè che finisce per arricchire e completare un luogo. Infine l’amore è quindi una volontà che inserisce il proprio fare in una finalità di benessere e rispetto per la vita. Queste qualità soggettive si sostanziano poi negli oggetti  in ordine, equilibrio, eleganza e coerenza. Vi pare che queste siano condizioni facilmente raggiungibili? A volte occorrono decenni per invertire la tendenza al degrado, non bastano interventi episodici calati dall’alto e nemmeno abbattimenti a volte necessari. Torno a ripetere quanto affermato in un mio precedente scritto e nel mio libro, “L’altro architetto”, che la presenza del verde, nel senso di giardini ben curati, alberi, fiori ed elementi vegetali puo’ aiutare a invertire la tendenza al degrado perchè la loro bellezza, frutto della cura, è fortemente contagiosa, come anche curare l’arredo urbano che denota ordine e presenza dell’autorità, senza considerare il risanamento delle case i cui abitanti sono affetti da sick building sindrome, sindrome da edificio malato, pare che il 20% del patrimonio immobiliare italiano sia costruito con materiali che creano questo problema. Senza fare i soliti proclami di interventi magniloquenti da affidare al solito archistar di turno cominciamo da qui. 

Queste note sono tratte dal libro L'altro architetto che verrà ripresentato il 7 ottobre ore 17 a Bordighera  all'Istituto internazionale di Studi Liguri via Romana 39  

mercoledì 14 settembre 2016

Assisi città della pace

                                           Bouquet di rose inglesi, acquarello su carta

Assisi capitale della pace da domenica 18 a martedi 20 settembre. Leggo sui quotidiani che 450 capi religiosi si trovano nella città di San Francesco per promuovere la pace. Iniziativa ormai alla trentesima edizione, visto che fu istituita da Giovanni Paolo II nel 1986, raccoglie molti consensi e contraddice chi afferma che sono le religioni a scatenare le guerre. E’ vero che nel passato vi sono state guerre combattute per motivi religiosi ma il fondamento è sempre la ricerca del potere e del prevalere gli uni sugli altri in un pensiero dominante dualistico che divide l’umanità in amici e nemici. Questo non succedeva solo per le religioni ma altresi per le patrie intese come qualcosa di assoluto che alimentava la competizione fra gli esseri umani. In verità le guerre vengono scatenate dalla volontà di potenza. Giustamente François Mauriac affermava che Nietzche è il filosofo del senso comune infatti le nostre abitudini fomentano la volontà di potenza. Vogliamo essere i migliori, i più bravi i più più di tutto e non ci sentiamo mai appagati, creando cosi il conflitto in noi e con gli altri. Nella psicologia buddista si afferma che in noi coabitano i semi di tutto, della gioia e della solidarietà come della paura e della rabbia, queste sementi sono a livello conscio o inconscio, sotterraneo, bisogna alimentare i semi positivi della creatività, della concordia e della felicità anzicchè quelli negativi dell’odio e della paura. L’iniziativa di Assisi va vista in quest’ottica perchè purtroppo noi viviamo in un mondo che innaffia continuamente sentimenti negativi attraverso la continua competizione e la continua esaltazione di bisogni fittizi che ingigantiscono il  sentimento della mancanza. Il consumismo è alla base della nostra economia e ci rende perennemente scontenti, la sobrietà invece puo’ essere felice in quanto non alimenta continue mancanze ma si soddisfa del poco. Se mettiamo insieme volontà di potenza e sentimento della mancanza abbiamo l’esplosivo che scatena le guerre. Del resto una econonomia che si sostiene anche con la produzione di ordigni bellici non puo’ essere cosi ipocrita da pretendere la pace. Ho già scritto di Kant che diceva essere presupposti per una pace perpetua un organismo internazionale riconosciuto per dirimere le contese fra stati e l’abolizione degli eserciti permanenti. Queste sono due condizioni utopiche ancora lontane da essere raggiunte nonostante l’Onu. E’ comunque bene che i capi religiosi si riuniscano nel nome della pace ad Assisi, città bellissima e patria del Santo più amato, per i motivi che dicevamo e perchè la vicinanza della bellezza puo’ essere un antidoto alla guerra, Venere disarma Marte ma bisogna passare dalla filosofia dualistica dell’essere e del non essere a quella unificante dell’interessere. Francesco infatti cantava:”Dolce è sentire che non sei più solo ma che fai parte di una immensa vita”.

sabato 6 agosto 2016

Guerra di religione?

                                       Grimaldi, confine italo-francese, acquarello su carta.

Oggi il Corriere della Sera riporta un articolo di Antonio Polito dove si afferma che gli atti terroristici dei fondamentalisti dell’Isis sono una guerra di religione contrariamente a quanto afferma Papa Franncesco che dice essere una guerra a episodi ma non di religione. Personalmente ritengo che abbia ragione il Pontefice. Bisogna infatti analizzare il significato di religioso e di religione. I vocaboli derivano da religo che in latino significa legare insieme, unificare, ho affermato in altro contesto l’uomo essere animale religioso, cioè sempre alla ricerca di unità e trascendenza, religione è l’insieme delle pratiche e dei riti per soddisfare questi bisogni. Le religioni, a volte, legandosi con il potere strumentalizzano cio’ ai fini del dominare.  Questo giustificherebbe l’affermazione di Marx che la religione è l’oppio dei popoli ma esiste un fondamentale sentimento dell’animo umano anche per chi si dichiara laico o ateo. Non necessariamente si è religiosi perchè si aderisce a una fede o a un credo. L’uomo religioso è l’uomo profondo, quello che va aldilà delle contingenze del mondo. “Vi do la pace, la mia pace, non come la da il mondo” è un’affermazione evangelica che traduce bene il senso di tutto questo. L’uomo religioso, che aderisca o no a una religione, non puo’ essere un uomo di guerra. Dunque ne consegue che la guerra non è di religione. La guerra è una folle conseguenza del desiderio di potere, non puo’ essere di religione ma puo’ essere uno scontro tra due Fedi, quando queste sono  superficialmente prese come giustificazione al nostro dualismo e dicotomia di pensiero e alla nostra esigenza di dominio. Dio allora è una proiezione del nostro odio e desiderio di vendetta verso chi abbiamo scelto come nemico perchè si oppone alla nostra mania di grandezza e di potenza. Hillman giustamente osservava che dopo Auschwitz il Dio dell’Antico testamento era morto. Ora pare che sia risorto con l’Isis  

domenica 24 luglio 2016

Del terrorismo e delle stragi

                                    Nudo di donna, Eros contro Thanatos, acquarello 1976

Leggo sui giornali i commenti allarmanti sugli atti di terrorismo legati al fanatismo islamico dell’Isis e mi chiedo:" quale potrebbe essere un rimedio efficace per prevenirli?". Come sempre, succede anche nelle malattie del corpo, per trovare la cura è necessario comprenderne la natura. Ogni volta che accadono fatti di sangue c’è la grancassa dei media che li amplifica e ci costringe a subirne l’influsso negativo che ha effetti contagiosi sulle persone cosidette psicolabili. Analizzando la nostra società, che Marc Augè definisce surmodernitè, notiamo tre eccessi: eccesso di tempo, di spazio e di individualismo. Il risultato è che un fatto che accade a migliaia di chilometri di distanza noi lo viviamo come se fosse qui nello stesso momento e il mondo ci appare costellato di azioni violente. Ci sono strumenti per modificare tale percezione generata dai media? In verità noi stiamo vivendo il tempo della Tecnica, cioè dove questa ha preso il sopravvento, spinta dal capitalismo globalizzato, sulla politica come scienza dello stare insieme per il bene comune fomentando l’individualismo funzionale ai consumi. La Tecnica, come ogni strumento, puo essere usata per il bene o per il male, un coltello puo’ servire per ferire o per sbucciare una mela. A noi la scelta ma quando la Tecnica da strumento diventa il fine è probabile che ci si sia dimenticati  le sue origini positive per l’uomo. Dunque la tecnica della comunicazione viene usata dall’Isis per ampliare l’effetto delle sue stragi e per promuoverne la diffusione anche attraverso le menti disturbate. Il male purtroppo è contagioso. L’individualismo spinto della nostra cultura poi é da una parte una buona cosa per la libertà e l’affermazione dei diritti ma dall’altra, in regime di consumismo e di tecnica al suo servizio, la persona si trova più esposta ad essere influenzata dai persuasori più meno occulti che vogliono condizionarla. Questo accade in tutti i campi, quando non c’è una comunità di riferimento, si chiami famiglia, chiesa, partito o altro. L’io è politico dichiara Hillman, altrimenti si è più soli e sono forti le suggestioni che fanno leva sugli archetipi dell’eroe, del giustiziere e del martire, cioè si influenza il protagonismo   di chi ha un fragile ego con manie di grandezza e culto di Thanatos anzicchè di Eros, le due forze archetipiche. Insomma credo che queste stragi, di qualunque matrice, siano il frutto di un inconscio collettivo che si ribella all’asservimento consumistico. Dunque i rimedi sono da ricercarsi nell’ aumento del livello di cultura e nell’educazione che contrastano la dipendenza dai mass-media, oltre che nella riduzione delle ingiustizie sociali tra chi ha troppo e chi nulla. Un nuovo umanesimo dunque orientato alla bellezza e non alla guerra.  

sabato 9 luglio 2016

La sindaca di Roma


                                                   Il risveglio, olio su tela,

Roma ha un nuovo sindaco, una ragazza di 37 anni. Questo fatto potrebbe sembrare un evento positivo per la democrazia e per le aspettative di potere di certo femminismo. Ma occorre fare alcune riflessioni con il rischio di sembrare politicamente scorretti. Mi chiedo: è bene che una giovane donna che fino a ieri aveva un lavoro precario, faceva l’avvocato per il recupero crediti, ricopra la massima carica nella capitale d’Italia? A volte nella vita siamo apparentemente vincenti e ci troviamo in posizioni brillanti e invidiabili ma non sempre questa è una fortuna per la società e per la persona in questione. Spero di essere contraddetto dai fatti e dalle prossime delibere di questa giunta ma il potere richiede capacità, equilibrio e saggezza che normalmente i giovani non hanno, altrimenti puo far male. Non esiste una scuola che te lo insegni, in democrazia chiunque puo’ teoricamente ricoprire alte cariche soprattutto attraverso il consenso generato dai mas media. Vi è sulla stampa un plauso generale a che dei giovani siano saliti al potere ma personalmente non lo condivido. Leggo nei resoconti giornalistici che una delle novità della politica italiana sarebbe quello di avere dei trenta -quarantenni al potere e che sarebbe da considerarsi segno di cambiamento in positivo. Non sono d'accordo con questa interpretazione. La giovinezza in se non è una virtù. Abbiamo avuto anche in passato politici molto giovani che hanno lasciato un pessimo esempio di gestione del potere. Alcuni sono stati presi letteralmente con le mani nel sacco. A dire il vero il sessantotto, nonostante sia stato una rivolta giovanile, non ha lasciato nulla nell'etica della gestione della cosa pubblica se non l'aspirazione a sgomitare per restare in posti di rilievo il più a lungo possibile. In verità più un politico è giovane e più ci si chiede come abbia fatto ad accedere ad alte cariche a quell'età se non con mezzi di dubbia natura.  Certo un segnale positivo sta nel fatto che almeno è in atto un ricambio generazionale e che certe facce non le vedremo più tanto spesso in televisione ma non è questo il punto e non è certo questo che ci garantirà una vita migliore. Dunque non è di giovani rampanti che ha bisogno la nostra politica e la nostra società. Il giovanilismo è un atteggiamento molto pericoloso, era molto presente nel fascismo e nel nazismo dove veniva esaltata la giovinezza come "primavera di bellezza". Tutte le rivolte che hanno portato a involuzioni verso regimi totalitari sono state effettuate da giovani ambiziosi e assolutisti. Non si tratta quindi di un fatto positivo in se  che dei giovani salgano al governo della Repubblica quando altri coetanei sono senza lavoro. Non è una questione di età o di sesso il buon uso del potere per il bene comune, anzi è proprio dove manca la democrazia che assistiamo a governanti fanciulli: nelle monarchie di un tempo gli eredi al trono potevano essere anche dei minori. In una democrazia matura invece la scelta dei rappresentanti dovrebbe essere motivata da esperienza e merito. Altrimenti si cade nella demagogia dove le scelte sono determinate dalle emozioni e dalle suggestioni generate da chi riesce a intercettare l'umore del momento ed interpreta l'esigenza di una figura apparentemente forte che prometta cose impossibili.

Quello che noi auspichiamo invece  è che la crisi abbia insegnato che nell'economia e nella politica, ovvero nel sistema di poteri ad esse relativo, si debba inserire più creatività, nell'accezione che qui, in questo blog, ne abbiamo data, e non è detto che i giovani siano più creativi. Ciò vuol dire che la società deve permettere l'emergere dei veri talenti e delle forze che possano contribuire ad una maggiore giustizia sociale. Per raggiungere questo obiettivo è necessaria una nuova mobilità nella distribuzione dei poteri, che venga dunque abbandonato il familismo amorale, come viene definito all'estero il costume italiano di accesso ai privilegi, e che la società guarisca dalla nevrosi del potere, come volontà di potenza senza sentimento sociale. Questo sicuramente renderebbe la vita più bella, libera e degna di essere vissuta. I modelli dunque non sono da ricercare tra i giovani rampanti ma tra gli uomini di una certa età che hanno speso la vita per un obiettivo valido, gli esempi non mancano, da Papa Bergoglio a Mandela, ma la difficoltà sta nel seguire il loro esempio senza lasciarsi smarrire dalle sirene del potere a tutti i costi.