Le cronache degli ultimi giorni riportano gli
episodi giudiziari che coinvolgono i sindaci delle due principali città
italiane: Roma e Milano. E’ facile riflettere che la classe politica italiana
non é mai stata cosi sfiduciata. E’ di ieri l’episodio dell’aggressione di un
parlamentare da parte dei cosidetti “Forconi”. L’episodio è stato condannato da
tutti ma é un segnale inquietante della rabbia che serpeggia fra i cittadini
verso chi governa, fra rappresentati e rappresentanti. Anche l’Istituto del
Sindaco a elezione diretta con i casi suddetti mostra le corde e mette in
discussione il sistema delle scelte dei candidati, da parte dei partiti o dei
movimenti. Una società sana produce rappresentanti prestigiosi e capaci, una società
malata produce rappresentanti inadeguati. Il potere del resto fa gola a tutti
ma gli spiriti più evoluti non sono disposti a barattarlo con la propria onestà
e coerenza, ne consegue che in momenti di crisi valoriale vengano selezionati
quelli che invece sono disposti a tutto . Un proverbio napoletano recita:”
Comannà é meglio che fottere”, a sottolineare che da sempre il potere come possibilità
di comandare sugli altri dona piacere soprattutto agli sprovveduti, cioé quelli
che non hanno altre risorse intellettuali , morali o spirituali. Quando Mara
tento’ il Budda gli propose appunto di darsi alla politica. La stessa cosa fece
il demonio nel deserto quando tento’ il Cristo. In questa situazione dunque
rischiamo di mandare al potere il peggio della società, gli arrivisti, gli
impostori, gli arroganti e prepotenti, quelli che da sempre sono stati definiti
i cosidetti demagoghi. E veniamo ai due sindaci: ho già espresso in altro
scritto il mio parere sulla Raggi, troppo giovane e sprovveduta buttata li da
un movimento di protesta che sta dilagando proprio grazie allo scontento
generale della situazione descritta e che non ha certo avuto il tempo di
selezionare i propri quadri. Il sindaco
di Milano invece é un manager capace che
è stato in grado di organizzare Expo nei
tempi stabiliti e con grande successo. Sala dunque è uomo di prestigio con
esperienza e capacità che rischia di essere messo in difficoltà dalla
magistratura per gli appalti di Expo. Il potere giudiziario in Italia,, da
Tangentopoli in avanti, condiziona la politiica e questo é un altro segnale negativo
del rapporto malato fra cittadini e
delegati a rappresentarli. Anche i magistrati infatti non rinunciano al vizio
del protagonismo e dell’arrivismo usando gli avvisi di garanzia come armi per
colpire influenzando i mass-media che notoriamente costruiscono o abbattono
il consenso politico. In questa situazione si crea una grande confusione in cui
la gente finisce per odiare la politica e i suoi rappresentanti, manda al
potere chi non se lo meriterebbe e la selezione, anzicché la comunità, la fa la
magistratura che invece dovrebbe intervenire solo occasionalmente e in
silenzio. Si innesca cosi un clima di sospetto e di sfiducia verso questi
privilegiati che oltretutto godono di stipendi altissimi rispetto alla media e
questo, in periodo di crisi, é estremamente pericoloso. Cosi le riforme pur
necessarie le tentano personaggi non all’altezza e senza il prestigio
necessario per cui vengono bocciate. Il socialismo riformista purtroppo in
Italia ha sempre avuto vita difficile e non da ieri.
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domenica 18 dicembre 2016
martedì 22 novembre 2016
Degli scali ferroviari a Milano
Città ideale, acquarello e pastello su carta, 2006
Degli scali ferroviari a Milano
A Milano si dibatte sulla destinazione degli
ex scali ferroviari e vengono proposte varie ipotesi di utilizzo con indici di
edificabilità piuttosto alti in relazione alle richieste del prezzo di vendita
da parte delle FS. Il solito ragionamento è questo: siccome il valore delle
aree edificabili limitrofe è tot anche le FS è giusto che pretendano un
corrispettivo adeguato da parte del Comune. E’ assurdo che questo accada tra
due enti che avrebbero come scopo il servizio ai cittadini e il bene comune. Pare infatti che, forti di questo ragionamento
e sostenute dalla proposta della giunta Pisapia, bocciata in consiglio
comunale, di un alto indice di edificabilità le FS abbiano pensato bene di
affidarsi ad una agenzia che le mettesse sul mercato.
Sarebbe opportuno ricordare alla proprietà che il valore delle aree non
viene generato da loro azioni sul territorio ma dallo sviluppo che il Comune ha
programmato. E’ lunga la storia della regolamentazione del valore aggiunto in
urbanistica e non siamo ancora giunti alla fine in assenza di una chiara legge
dei suoli. Negli anni 60 e 70 il CIMEP espropriava a prezzi agricoli i terreni
per costruire edilizia convenzionata e popolare perchè la cultura dell’epoca
indicava il valore aggiunto dei terreni edificabili non un diritto della
proprietà ma un di più generato dalle scelte del Comune che in qualche modo
attraverso gli oneri di ubanizzazione doveva tornare a lui. Non stiamo a
sottolineare le storture e le deroghe a tale prassi. Ricordo per inciso il
dibattito che genero’ l’istitutzione dei PPA, ovvero piani pluriennali di
attuazione, che temporalizzavano la realizzazione del piano regolatore in
ragione proprio del fatto che non era un
diritto del privato il valore aggiunto. In seguito ovviamente sono stati aboliti. La giurisprudenza infatti
é riuscita ad avvallare il diritto dei proprietari di essere rimborsati, in
caso di esproprio, al prezzo di mercato che é quello di scambio anche se il
valore dipende dalle scelte del PGT. Cosi la gran parte dei proprietari
espropriati ha fatto causa al Cimep e sono stati rimborsati. Siamo arrivati
dunque all’uso in urbanistica della compensazione per mettere tutti sullo stesso
piano, in sostanza l’esproprio è diventato una contrattazione fra il privato e
il Comune, un baratto: io ti do una cosa a te tu dai una cosa a me . Questo in
teoria per non generare disuguaglianze fra i vari proprietari quando la legge
stabilisce che in caso di esproprio per pubblica utilità vanno rimborsati al
prezzo di mercato delle aree. Tutto cio’ a livello dei privati ma qui
trattandosi di enti pubblici la cosa è diversa, in buona sostanza ambedue gli
enti dovrebbero avere come scopo il bene pubblico e quindi rispondere
adeguatamente ai bisogni dei cittadini. Questi ultimi vanno indagati con
serietà, fuori dalle diatribe dei partiti e, una volta individuati, dovrebbero
fare da base alle scelte urbanistiche. Uno di sicura notorità é il bisogno di
bellezza. Ora é evidente che in una città cosi densamente edificata con
periferie trascurate, spesso disagiate e cosparse di non luoghi, questo bisogno
si traduce in necessità di natura e
risulta pregnante anche in relazione alle sondabili richieste dei cittadini e
dei comitati. Un’altra domanda palese é
quella di case a bassi costi e prevalentmente in affitto. Le cifre mostrano
chiaramente la situazione, basta guardale: il numero di sfratti per morosità
sempre più alto, i senza fissa dimora, il pendolarismo e i giovani obbligati a
vivere nella casa dei genitori ecc. Una cosa invece di cui non si sente proprio
il bisogno sono nuovi interventi speculativi in un momento in cui l’invenduto
del mercato immobiliare è a livelli piuttosto consistenti. E’ inevitabile
quindi suggerire, come è già stato fatto da diversi autori, la destinazione a
parchi con una modesta quota di edificabile all’intorno, prevalentemente in
housing sociale, inframmezzato da poca edilizia di libero mercato che
servirebbe ad incamerare gli oneri di urbanizzazione e a creare quel mix sociale
tanto auspicato dalla letteratura urbanistica. E’ importante sottolineare pero’,
come dicevo in altro scritto, che questi parchi vengano progettati e
realizzati con cura in contemporanea con
le costruzioni ai margini puntando sulla qualità altrimenti si rischia il
degrado. Questa dovrebbe essere la
proposta dell'amministrazione comunale
alle FS che essendo un’azienda statale non dovrebbe comportarsi come un privato
e tendere al proprio guadagno e non al benessere dei cittadini, ricordando che il plus valore è generato dalle scelte
comunali.
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giovedì 10 novembre 2016
Elezioni americane
Fiori allo specchio, olio su tela 2013
Poiché tutti
commentano la sorpresa della vittoria di Donald Trump alla corsa per la Casa
Bianca cerchero’anch’io di dare una interpretazione a questo evento. Ho già
scritto su questo blog nel 2013 un post su la politica ai tempi della
televisione che poi è stato pubblicato anche su Corriere online. In sostanza
lamentavo nelle democrazie occidentali ipermediatiche la scissione fra i
cittadini e la rappresentanza politica. In tempi in cui i mass media erano
molto ridotti la elaborazione teorica avveniva nei circoli e nei salotti borghesi
e trovava uno sbocco attraverso il passaparola di attivisti che si assumevano
il compito di divulgare il nuovo messaggio. Basti pensare ai rivoluzionari
russi piuttosto che al nostro Mazzini che dalla clandestinità influenzava l’azione
di migliaia di giovani. Esisteva cioé un rapporto diretto fra la elaborazione
delle idee politiche e la loro applicazione. In regime di sovrabbondanza dei
media, soprattutto la televisione,che vengono manipolati
da gruppi di potere interessati si ha un allargamento dell’informazione ma
al contempo un abbassamento del livello
di autonomia intellettuale. In sostanza veniamo trasformati da cittadini in
consumatori passivi e la politica diventa marketing televisivo, come qualsiasi
prodotto di consumo.Le elezioni americane sono un esempio emblematico di quanto
detto infatti i candidati investono molto in spot pubblicitari e usano a
dismisura il mezzo televisivo per autopromuoversi, il sostegno di media é
essenziale per la campagna presidenziale. Tutta questa organizzazione del
consenso a volte infastidisce e mostra l’arroganza tipica del potere di
sostituirsi in toto all’opinione reale della gente che, benchè anestetizzata, tuttavia
non è stupida e qualche volta reagisce in modo imprevedibile. Nel caso suddetto
Hillary aveva il sostegno di tutti i media ma ha perso proprio perchè non
piaceva, troppo immersa nell’apparato, e vi è stata una sorta di ribellione al
cosidetto establishement. Non è che Trump non sia un prodotto televisivo, lo è
e come, tuttavia dà l’impressione di
essere più originale e fuori dalla casta politica. Interpreta insomma l’istanza
di rinnovamento che serpeggia nei cuori della gente costretta a subire le decisioni
più che partecipare a prenderle. E’ chiaro che ambedue i candidati non sono che
burattini nelle mani dei poteri economici. Come dicevo a proposito del
berlusconismo lo spirito di un’epoca trova poi il modo di incarnarsi in un
soggetto che si trova nel posto giusto al momento giusto ed è spinto dalla sua
divorante ambizione. Tump oggi é l’espressione di questa esigenza di più
fantasia al potere, speriamo che riesca a stupirci.
mercoledì 26 ottobre 2016
Dei parchi urbani
Giardimi Montanelli, acquarello su carta, 2009
Vedo sui giornali che
a Milano si dibatte molto intorno alla destinazione a verde degli ex scali ferroviari ed anche di altre aree,
come se questa destinazione in se costituisca una panacea di tutti i mali della
città. Ecco cosa scrivevo a proposito dei parchi su L’altro architetto.
Il problema del verde
in città è annoso e si trascina dalla prima rivoluzione industriale. In genere
nella città europea i parchi centrali sono i giardini dei palazzi nobiliari di
un tempo, che sono diventati pubblici. All’esterno sono invece aree faticosamente
sottratte alla speculazione edilizia e attrezzate per il tempo libero. Ora, non
è detto che grandi aree verdi, a parte il benefico effetto sul clima urbano,
siano luoghi di delizie: occorre che prima di tutto vi sia una buona
sorveglianza, i quartieri che vi si affaccino non siano solo malfamati, e che
quindi il parco non diventi a sua volta un non-luogo, abbandonato in certe ore
del giorno. Esso va vissuto. Sarebbe meglio avere tanti piccoli giardini che
non grandi parchi che nessuno gode. I grandi parchi dovrebbero funzionare come
oasi del continuum costruito, dove chi vuole può avere la possibilità anche di
praticare l’agricoltura e coltivarsi un orto: allora si avrebbe una presenza
continua di persone che tornano alla natura per lavorare la terra come un
tempo, con una produzione di frutti che può costituire una risorsa. Del resto
anche il paesaggio agrario che circonda le aree urbane ha una sua nobiltà
storica, che dovrebbe essere difesa. Vivendo nelle città, spesso, ci
dimentichiamo che è dalla natura che scaturisce la vita, anche la nostra, e
quindi il sentimento legato alla bellezza, che ce la fa scoprire, si rivolge in
primis a lei, se accettiamo la definizione: bellezza uguale rispetto per la
vita. La natura quindi è bella in quanto, per dirla con i Greci, è
manifestazione di cosmos, ovvero dell’estetica dell’essere. Tuttavia in natura
vigono le differenze: ogni organismo e luogo hanno un loro potenziale
energetico relativo alla loro funzione nel sistema. Certi organismi noi li
vediamo brutti perché li togliamo dal loro contesto vitale e proiettiamo su di
loro le nostre parti poco gradevoli. Alla domanda se, allora, sia bella solo la
natura, si può rispondere che è bella la natura, ma è altrettanto bella la
produzione artistica in chiave ecologica. Ecco perché i giardini, i parchi e
gli alberi nelle città ingentiliscono e umanizzano panorami artificiali a volte
squallidi e costituiscono una componente estetica non indifferente nelle aree
abitative e lavorative. Da L'altro architetto . Giampiero Casagrande editore
venerdì 30 settembre 2016
Ancora di periferie
L'albero dei poeti, acquarello su carta 2011
Perchè è cosi
difficile risanare le periferie? Come già esposto in un mio recente articolo è
stata la prima rivoluzione industriale a generare i grandi agglomerati
periferici, in Francia chiamati banlieues.Le fabbriche si sono stabilite fuori
dalle mura della città storica ed hanno pompato manodopera, dalle campagne
prima, dai paesi sottosviluppati e dal terzo mondo poi, che avendo necessità
abitative ha obbligato amministratori e imprenditori a costruire case nel
circondario. Quando le fabbriche si sono trasferite, nel processo di
terziarizzazione della città, sono rimaste le case con i grandi buchi delle
aree ex industriali. Queste abitazioni naturalmente non brillano per qualità e
soprattutto spesso mancano delle infrastrutture necessarie che l’amministrazione pubblica o i privati
lasciano in sospeso per anni. E’ emblematica la questione dei problemi legati
all’igiene edilizio nella fine ottocento in Inghilterra e da noi nella prima
metà del secolo scorso.Molte volte questa situazione è durata per diverso tempo
tanto da far crescere due o tre generazioni di abitanti in situazioni precarie.
Questa realtà ha provocato e approfondito il solco che separava e separa i
diseredati dai privilegiati, ovvero i poveri dai ricchi, oggi in regime di
globalismo e di sviluppo dei trasporti è più profonda la disuguaglianza fra
periferia e centro di una stessa città che tra paesi diversi. Teniamo presente
che ormai il termine “periferico”si applica a tutto cio’ che viene trascurato.
Infatti la casualità e l’abbandono, oltre alla trascuratezza, sono lo stigma di
queste conurbazioni dove regna il disprezzo per la vita comune. Plotino
affermava che è brutto cio’ che la nostra anima trascura, cioè senza cura, è evidente dunque che le categorie del brutto le troviamo prevalentemente in
periferia. Naturalmente cio’ non è sempre vero ma nell’immaginario comune è
cosi. Ora per rendere il brutto bello occorrono primariamente da parte del
soggetto pianificatore cura, attenzione e amore ma non è semplice in una
popolazione abituata da sempre al brutto. La cura è qui intesa come esecuzione
a regola d’arte, l’attenzione è il contrario di negligenza e disattenzione, nel
nostro caso rispetto al sito e all’utenza, il risultato migliore essendo sempre
quel manufatto che si potrebbe considerare come se fosse sempre esistito: cioè
che finisce per arricchire e completare un luogo. Infine l’amore è quindi una
volontà che inserisce il proprio fare in una finalità di benessere e rispetto
per la vita. Queste qualità soggettive si sostanziano poi negli oggetti in ordine, equilibrio, eleganza e coerenza.
Vi pare che queste siano condizioni facilmente raggiungibili? A volte occorrono
decenni per invertire la tendenza al degrado, non bastano interventi episodici
calati dall’alto e nemmeno abbattimenti a volte necessari. Torno a ripetere
quanto affermato in un mio precedente scritto e nel mio libro, “L’altro
architetto”, che la presenza del verde, nel senso di giardini ben curati,
alberi, fiori ed elementi vegetali puo’ aiutare a invertire la tendenza al
degrado perchè la loro bellezza, frutto della cura, è fortemente contagiosa,
come anche curare l’arredo urbano che denota ordine e presenza dell’autorità,
senza considerare il risanamento delle case i cui abitanti sono affetti da sick
building sindrome, sindrome da edificio malato, pare che il 20% del patrimonio
immobiliare italiano sia costruito con materiali che creano questo problema.
Senza fare i soliti proclami di interventi magniloquenti da affidare al solito
archistar di turno cominciamo da qui.
Queste note sono tratte dal libro L'altro architetto che verrà ripresentato il 7 ottobre ore 17 a Bordighera all'Istituto internazionale di Studi Liguri via Romana 39
Queste note sono tratte dal libro L'altro architetto che verrà ripresentato il 7 ottobre ore 17 a Bordighera all'Istituto internazionale di Studi Liguri via Romana 39
mercoledì 14 settembre 2016
Assisi città della pace
Bouquet di rose inglesi, acquarello su carta
Assisi capitale della
pace da domenica 18 a martedi 20 settembre. Leggo sui quotidiani che 450 capi
religiosi si trovano nella città di San Francesco per promuovere la pace.
Iniziativa ormai alla trentesima edizione, visto che fu istituita da Giovanni
Paolo II nel 1986, raccoglie molti consensi e contraddice chi afferma che sono
le religioni a scatenare le guerre. E’ vero che nel passato vi sono state
guerre combattute per motivi religiosi ma il fondamento è sempre la ricerca del
potere e del prevalere gli uni sugli altri in un pensiero dominante dualistico
che divide l’umanità in amici e nemici. Questo non succedeva solo per le
religioni ma altresi per le patrie intese come qualcosa di assoluto che
alimentava la competizione fra gli esseri umani. In verità le guerre vengono
scatenate dalla volontà di potenza. Giustamente François Mauriac affermava che Nietzche
è il filosofo del senso comune infatti le nostre abitudini fomentano la volontà
di potenza. Vogliamo essere i migliori, i più bravi i più più di tutto e non ci
sentiamo mai appagati, creando cosi il conflitto in noi e con gli altri. Nella
psicologia buddista si afferma che in noi coabitano i semi di tutto, della
gioia e della solidarietà come della paura e della rabbia, queste sementi sono
a livello conscio o inconscio, sotterraneo, bisogna alimentare i semi positivi
della creatività, della concordia e della felicità anzicchè quelli negativi
dell’odio e della paura. L’iniziativa di Assisi va vista in quest’ottica perchè
purtroppo noi viviamo in un mondo che innaffia continuamente sentimenti
negativi attraverso la continua competizione e la continua esaltazione di
bisogni fittizi che ingigantiscono il sentimento
della mancanza. Il consumismo è alla base della nostra economia e ci rende
perennemente scontenti, la sobrietà invece puo’ essere felice in quanto non
alimenta continue mancanze ma si soddisfa del poco. Se mettiamo insieme volontà
di potenza e sentimento della mancanza abbiamo l’esplosivo che scatena le
guerre. Del resto una econonomia che si sostiene anche con la produzione di ordigni
bellici non puo’ essere cosi ipocrita da pretendere la pace. Ho già scritto di
Kant che diceva essere presupposti per una pace perpetua un organismo
internazionale riconosciuto per dirimere le contese fra stati e l’abolizione
degli eserciti permanenti. Queste sono due condizioni utopiche ancora lontane
da essere raggiunte nonostante l’Onu. E’ comunque bene che i capi religiosi si
riuniscano nel nome della pace ad Assisi, città bellissima e patria del Santo
più amato, per i motivi che dicevamo e perchè la vicinanza della bellezza puo’
essere un antidoto alla guerra, Venere disarma Marte ma bisogna passare dalla
filosofia dualistica dell’essere e del non essere a quella unificante dell’interessere.
Francesco infatti cantava:”Dolce è sentire che non sei più solo ma che fai
parte di una immensa vita”.
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sabato 6 agosto 2016
Guerra di religione?
Grimaldi, confine italo-francese, acquarello su carta.
Oggi il Corriere
della Sera riporta un articolo di Antonio Polito dove si afferma che gli atti
terroristici dei fondamentalisti dell’Isis sono una guerra di religione
contrariamente a quanto afferma Papa Franncesco che dice essere una guerra a
episodi ma non di religione. Personalmente ritengo che abbia ragione il
Pontefice. Bisogna infatti analizzare il significato di religioso e di
religione. I vocaboli derivano da religo che in latino significa legare
insieme, unificare, ho affermato in altro contesto l’uomo essere animale
religioso, cioè sempre alla ricerca di unità e trascendenza, religione è
l’insieme delle pratiche e dei riti per soddisfare questi bisogni. Le
religioni, a volte, legandosi con il potere strumentalizzano cio’ ai fini del
dominare. Questo giustificherebbe
l’affermazione di Marx che la religione è l’oppio dei popoli ma esiste un
fondamentale sentimento dell’animo umano anche per chi si dichiara laico o
ateo. Non necessariamente si è religiosi perchè si aderisce a una fede o a un
credo. L’uomo religioso è l’uomo profondo, quello che va aldilà delle
contingenze del mondo. “Vi do la pace, la mia pace, non come la da il mondo” è
un’affermazione evangelica che traduce bene il senso di tutto questo. L’uomo
religioso, che aderisca o no a una religione, non puo’ essere un uomo di
guerra. Dunque ne consegue che la guerra non è di religione. La guerra è una
folle conseguenza del desiderio di potere, non puo’ essere di religione ma puo’
essere uno scontro tra due Fedi, quando queste sono superficialmente prese come giustificazione al
nostro dualismo e dicotomia di pensiero e alla nostra esigenza di dominio. Dio
allora è una proiezione del nostro odio e desiderio di vendetta verso chi
abbiamo scelto come nemico perchè si oppone alla nostra mania di grandezza e di
potenza. Hillman giustamente osservava che dopo Auschwitz il Dio dell’Antico
testamento era morto. Ora pare che sia risorto con l’Isis
domenica 24 luglio 2016
Del terrorismo e delle stragi
Nudo di donna, Eros contro Thanatos, acquarello 1976
Leggo sui giornali i
commenti allarmanti sugli atti di terrorismo legati al fanatismo islamico
dell’Isis e mi chiedo:" quale potrebbe essere un rimedio efficace per prevenirli?".
Come sempre, succede anche nelle malattie del corpo, per trovare la cura è
necessario comprenderne la natura. Ogni volta che accadono fatti di sangue c’è
la grancassa dei media che li amplifica e ci costringe a subirne l’influsso
negativo che ha effetti contagiosi sulle persone cosidette psicolabili.
Analizzando la nostra società, che Marc Augè definisce surmodernitè, notiamo
tre eccessi: eccesso di tempo, di spazio e di individualismo. Il risultato è
che un fatto che accade a migliaia di chilometri di distanza noi lo viviamo
come se fosse qui nello stesso momento e il mondo ci appare costellato di
azioni violente. Ci sono strumenti per modificare tale percezione generata dai
media? In verità noi stiamo vivendo il tempo della Tecnica, cioè dove questa ha
preso il sopravvento, spinta dal capitalismo globalizzato, sulla politica come
scienza dello stare insieme per il bene comune fomentando l’individualismo
funzionale ai consumi. La Tecnica, come ogni strumento, puo essere usata per il
bene o per il male, un coltello puo’ servire per ferire o per sbucciare una
mela. A noi la scelta ma quando la Tecnica da strumento diventa il fine è
probabile che ci si sia dimenticati le
sue origini positive per l’uomo. Dunque la tecnica della comunicazione viene
usata dall’Isis per ampliare l’effetto delle sue stragi e per promuoverne la
diffusione anche attraverso le menti disturbate. Il male purtroppo è
contagioso. L’individualismo spinto della nostra cultura poi é da una parte una
buona cosa per la libertà e l’affermazione dei diritti ma dall’altra, in regime
di consumismo e di tecnica al suo servizio, la persona si trova più esposta ad
essere influenzata dai persuasori più meno occulti che vogliono condizionarla.
Questo accade in tutti i campi, quando non c’è una comunità di riferimento, si
chiami famiglia, chiesa, partito o altro. L’io è politico dichiara Hillman,
altrimenti si è più soli e sono forti le suggestioni che fanno leva sugli
archetipi dell’eroe, del giustiziere e del martire, cioè si influenza il
protagonismo di chi ha un fragile ego
con manie di grandezza e culto di Thanatos anzicchè di Eros, le due forze
archetipiche. Insomma credo che queste stragi, di qualunque matrice, siano il
frutto di un inconscio collettivo che si ribella all’asservimento consumistico.
Dunque i rimedi sono da ricercarsi nell’ aumento del livello di cultura e nell’educazione
che contrastano la dipendenza dai mass-media, oltre che nella riduzione delle
ingiustizie sociali tra chi ha troppo e chi nulla. Un nuovo umanesimo dunque
orientato alla bellezza e non alla guerra.
sabato 9 luglio 2016
La sindaca di Roma
Il risveglio, olio su tela,
Roma ha un nuovo
sindaco, una ragazza di 37 anni. Questo fatto potrebbe sembrare un evento
positivo per la democrazia e per le aspettative di potere di certo femminismo.
Ma occorre fare alcune riflessioni con il rischio di sembrare politicamente
scorretti. Mi chiedo: è bene che una giovane donna che fino a ieri aveva un
lavoro precario, faceva l’avvocato per il recupero crediti, ricopra la massima
carica nella capitale d’Italia? A volte nella vita siamo apparentemente
vincenti e ci troviamo in posizioni brillanti e invidiabili ma non sempre questa è una fortuna per la società e per la persona in questione. Spero di
essere contraddetto dai fatti e dalle prossime delibere di questa giunta ma il
potere richiede capacità, equilibrio e saggezza che normalmente i giovani non
hanno, altrimenti puo far male. Non esiste una scuola che te lo insegni, in
democrazia chiunque puo’ teoricamente ricoprire alte cariche soprattutto
attraverso il consenso generato dai mas media. Vi è sulla stampa un plauso
generale a che dei giovani siano saliti al potere ma personalmente non lo
condivido. Leggo
nei resoconti giornalistici che una delle novità della politica italiana
sarebbe quello di avere dei trenta -quarantenni al potere e che sarebbe da
considerarsi segno di cambiamento in positivo. Non sono d'accordo con questa
interpretazione. La giovinezza in se non è una virtù. Abbiamo avuto anche in
passato politici molto giovani che hanno lasciato un pessimo esempio di
gestione del potere. Alcuni sono stati presi letteralmente con le mani nel
sacco. A dire il vero il sessantotto, nonostante sia stato una rivolta giovanile, non ha
lasciato nulla nell'etica della gestione della cosa pubblica se non
l'aspirazione a sgomitare per restare in posti di rilievo il più a lungo
possibile. In verità più un politico è giovane e più ci si chiede come abbia
fatto ad accedere ad alte cariche a quell'età se non con mezzi di dubbia
natura. Certo un segnale positivo sta
nel fatto che almeno è in atto un ricambio generazionale e che certe facce non
le vedremo più tanto spesso in televisione ma non è questo il punto e non è certo
questo che ci garantirà una vita migliore. Dunque non è di giovani rampanti che
ha bisogno la nostra politica e la nostra società. Il giovanilismo è un
atteggiamento molto pericoloso, era molto presente nel fascismo e nel nazismo
dove veniva esaltata la giovinezza come "primavera di bellezza".
Tutte le rivolte che hanno portato a involuzioni verso regimi totalitari sono
state effettuate da giovani ambiziosi e assolutisti. Non si tratta quindi di un
fatto positivo in se che dei giovani salgano
al governo della Repubblica quando altri coetanei sono senza lavoro. Non è una
questione di età o di sesso il buon uso del potere per il bene comune, anzi è
proprio dove manca la democrazia che assistiamo a governanti fanciulli: nelle
monarchie di un tempo gli eredi al trono potevano essere anche dei minori. In
una democrazia matura invece la scelta dei rappresentanti dovrebbe essere
motivata da esperienza e merito. Altrimenti si cade nella demagogia dove le
scelte sono determinate dalle emozioni e dalle suggestioni generate da chi
riesce a intercettare l'umore del momento ed interpreta l'esigenza di una
figura apparentemente forte che prometta cose impossibili.
Quello che noi auspichiamo
invece è che la crisi abbia insegnato
che nell'economia e nella politica, ovvero nel sistema di poteri ad esse
relativo, si debba inserire più creatività, nell'accezione che qui, in questo
blog, ne abbiamo data, e non è detto che i giovani siano più creativi. Ciò vuol
dire che la società deve permettere l'emergere dei veri talenti e delle forze
che possano contribuire ad una maggiore giustizia sociale. Per raggiungere
questo obiettivo è necessaria una nuova mobilità nella distribuzione dei
poteri, che venga dunque abbandonato il familismo amorale, come viene definito
all'estero il costume italiano di accesso ai privilegi, e che la società
guarisca dalla nevrosi del potere, come volontà di potenza senza sentimento
sociale. Questo sicuramente renderebbe la vita più bella, libera e degna di
essere vissuta. I modelli dunque non sono da ricercare tra i giovani rampanti
ma tra gli uomini di una certa età che hanno speso la vita per un obiettivo
valido, gli esempi non mancano, da Papa Bergoglio a Mandela, ma la difficoltà sta
nel seguire il loro esempio senza lasciarsi smarrire dalle sirene del potere a
tutti i costi.
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domenica 19 giugno 2016
Dell'opera di Christo
Antibes, acquarello su carta
Ho già espresso il mio
parere altrove sull’arte e sugli artisti (vedi in questo medesimo blog il post
Dell’arte e degli artisti, inoltre a chi volesse approfondire consiglierei la
lettura dei miei ultimi due libri, Ecologia e Bellezza, Alinea 2004, e L’altro
architetto, Casagrande 2014. Non mi lascio pero’ sfuggire l’occasione di
commentare l’opera di Christo sul Lago d’Iseo visto che compare spesso su fb.
Questa Land Art, cosidetta, non si puo’ ascrivere alle categorie dell’Arte,
come del resto l’arte concettuale. Analizzando pero’ il fenomeno definito artistico
ci chiediamo in che senso cosi lo si dichiara. Chi è artista dunque? La mia
risposta: colui che discende nel profondo del suo animo e raggiunge il nocciolo
di verità di natura estetica e sacra. Il suo operare è una necessità insita al
suo essere nel mondo. Una necessità che lo spinge ad utilizzare la materia per trascenderla,
cioè per raggiungere lo spirito. Non a caso ho equiparato l’artista allo
sciamano delle culture arcaiche che aveva il compito di unire la terra al cielo
e dare l’esperienza del trascendente. Questa concezione dell’arte è parte della
Storia nonostante le diverse sfumature
con cui nei diversi periodi si colora. Le Muse nell’antica Grecia avevano
appunto il compito di ispirare l’artista affinchè riuscisse in questa missione.
Bisogna anche sottolineare che l’artista-sciamano deve per forza operare in
piena libertà per ascoltarsi ed esercitare la sua sensibilità. Friedrich
Schiller nel periodo romantico sottolinea questo affermando che l’arte crea da
sè le sue regole. Questa affermazione pero’ ha dato la stura ad ogni
manifestazione fuori dalle regole per cui tutti i pazzi si credono artisti.
Quando nel dopoguerra la provocazione è diventata sinonimo di arte, e questa si
è legata al potere dei mass-media, si è assistito ad ogni genere di
performances di personaggi sostenuti da committenti interessati più che altro
alla pubblicità che l’evento comporta. Per quanto mi riguarda faccio mie l’affermazione
di Kant che “l’arte non puo’essere bella se non quando noi, pur essendo coscienti
che è arte, la consideriamo come natura” e quella di Florenskij che “il vero
artista sale nudo al mondo ultrasensibile e ne discende con verità ineffabili.
La differenza dunque tra il folle presuntuoso e l’artista sta proprio nell’umiltà
di quest’ultimo che sente di essere un canale della creatività universale. Ecco
qui sottolineiamo che lo stigma dell’arte è la creatività intesa come capacità
di creare più vita. Ora che possiamo dire della passerella sul lago di Christo?
Crea si più vita, nel senso che attira ogni sorta di curiosi condizionati dai
media, ma la natura del lago non ne viene certo beneficiata. Si puo’ affermare
che Gardaland è arte nel senso suddetto? Direi di no, in buona sostanza si puo’
affermare che diverte alcuni, in specie i bambini, ma nessuno dei critici si
sentirebbe di paragonarla alla Pietà Rondanini. Ordunque siamo seri! Di quale
arte stamo parlando quando cosi definiamo l’opera di Christo, forse di
blasfemia stiamo parlando, visto che Christo vuole paragonarsi a Cristo che
camminava e faceva camminare sulle acque. Attenzione pero’, ho più volte
affermato che la crisi ecologica è stata generata dalla crisi estetica dell’ultimo
secolo e qui ne abbiamo la dimostrazione eclatante.
venerdì 27 maggio 2016
Delle elezioni del sindaco di Milano
Giardini Montanelli, acquarello su carta
Sono prossime le
votazioni per la scelta del sindaco a Milano. Come sempre succede ad ogni
tornata elettorale si sprecano le ipotesi di vittoria. Vincerà il centrodestra
o il centrosinistra? Ormai nessuno vuol più essere semplicemente o di destra o
di sinistra. A parte la discutibile diversità fra le due coalizioni che, stando
alla tradizione, dovrebbero portare al potere
nel primo caso il cosidetto
padronato, cioè chi il potere lo ha già, e nel secondo i diseredati e chi li
rappresenta, pare che ciascuno accampi il diritto di ergersi a paladino del
popolo. Le due anime si sono ormai confuse nell’aspirazione al potere tout
court, anche perchè a ben dire, a parte la sinistra di Rizzo, anche la
coalizione di centrosinistra è formata
dalla borghesia milanese più o meno illuminata e dai suoi managers. Quale
differenza dunque sussiste tra uno schieramento e l’altro? Si dice che bisogna guardare i programmi. Ma
i programmi si somigliano: tutti vogliono mostrare di tenerci a risolvere i
problemi dei cittadini, tutti i problemi e rendere gli elettori più felici.
Vota per me e ti faro’ felice, potrebbe essere lo slogan di destra e di
sinistra. Ma come? Più sicurezza, meno tasse, più assistenza, più lavoro,
più...più di tutto insomma. Ambedue affermano di voler risanare le periferie,
ognuno vuole più verde e meno traffico, tutti esibiscono onestà e coerenza. Ma
di queste promesse c’è possibilità che
qualcosa si realizzi al di là delle parole? L’amministrazione uscente quando ha
vinto le elezioni nel 2011ha festeggiato con musiche, peana e biciclettate,
sembrava che più che elezioni democratiche avesse vinto una guerra e fosse giunta l’ora della liberazione da un
regime oppressivo durato un ventennio, ma alla fine ha deluso la maggior parte
delle aspettative. A proposito ma la vogliamo finire di festeggiare una
elezione come se fosse una partita di calcio vinta? Non vi è nulla da
festeggiare ma da rimboccarsi le maniche, cioè prendere coscienza del lavoro da
compiere per il benessere della comunità e lavorare di conseguenza tenendo
presente le difficoltà che questo comporta. In primis non bisogna sottovalutare
il sistema burocratico che ingabbia le innovazioni per sua natura essendo
conservativo. Una riforma della burocrazia non sarebbe male, sia che venga da
destra che da sinistra. L’amministrazione Pisapia ha dato l’impressione di
schierarsi più dalla parte dei potenti che non dei cittadini comuni, si è
vantata di cose decise e iniziate da altri, Expo, Porta Nuova, eventi vari
della Moda, M4 e cosi via fallendo miseramente sulla tanto millantata
partecipazione a causa di una comunicazione spesso arrogante e spocchiosa. Del
resto uno dei suoi assessori più quotati si è dimesso. In buona sostanza ha
dato l’impressione irritante del “ siamo bravi solo noi perchè siamo noi”, soprattutto
da parte di assessori troppo giovani ed inesperti scelti con logiche dubbie. In
sintesi, a parte i programmi corposi, che pero’ poi camminano con le gambe degli
uomini, occorre più consapevolezza e senso di responsabilità di chi “vince” le elezioni, altro che canti e
festeggiamenti per l’assunzione del Potere. Serve più umiltà e senso estetico,
il bello come buono, vero e giusto, ricordando con Stendhal che la bellezza è
promessa di felicità.
martedì 19 aprile 2016
Impatto ambientale
A proposito del
referendum sulle trivelle del Mar Adriatico fallito miseramente per non aver
raggiunto il quorum riporto quanto scrivevo nel mio libro “L’uomo, l’ambiente,
la casa” sulla questione dell’impatto della tecnologia sull’ambiente. La valutazione
di impatto ambientale è un fenomeno
tipico della nostra civiltà, che si avvelena e poi controlla che il veleno non
sia mortale. Pertanto essa costituisce a
monte un problema di natura culturale, controllato negli effetti con le
tecniche delle scienze naturali riconducibili alle scienze esatte. Esiste pero’
un importante aspetto della valutazione di impatto che sfugge alla valutazione
delle scienze chimico-fisiche ed è l’impatto di natura visivo-percettiva.Si
tratta di un impatto totalmente psicologico, legato alle opinioni di chi
fruisce l’ambiente, cioè l’abitante, pertanto verifiche e valutazioni sono da
affrontarsi solo con quelle discipline legate ai fenomeni culturali. A questo
punto credo sia onesto sottolineare che se nella valutazione di impatto basata
su considerazioni di ordine scientifico, chimico-fisico, pur essendoci una
buona dose di aleatorietà, è pero’ possibile una certa obiettività, nella
valutazione “culturale” dell’impatto tutto è molto più complesso perchè entrano
in gioco fattori diversi, legati appunto alle tendenze culturali, ai rapporti
tra cultura dominante e culture subalterne ed anche al sapere non scientifico.
Impatto, come si diceva, presuppone già una sorta di scontro tra l’intervento
dell’uomo e l’ambiente preesistente; una mentalità che bene o male rifiuta questo
scontro, ma ricerca l’armonia è sicuramente la migliore garanzia di corretta
valutazione di impatto. Infatti quando il
dott Paul Racamier afferma che i “malati mentali” sono molto più
sensibili alla struttura fisica e all’aspetto dello spazio in cui vivono di quanto
non lo siano le persone cosidette normali, cio’ deriva dal fatto che le persone
cosidette normali sono, in realtà, normalizzate, adattate a forza al loro nuovo
ambiente. Se si assimila dunque la nostra cultura a una cultura di normalizzati
la valutazione degli effetti di impatto psicologico sarebbe già in se sbagliata
se rapportata solo alla nostra cultura. In realtà il primo impatto di un
intervento dell’uomo nell’ambiente è di natura visivo-percettiva, cioè mentale,
e quindi psicologica, antropologica e sociologica. Allora la prima cosa da
chiedersi quando si debba intervenire in una data regione credo proprio che sia
se la cultura (o le culture) ivi presenti siano in grado di accettare, senza
troppi contraccolpi cio’ che si deve insediare, sia un opificio o una strada o
una centrale elettrica o infine delle piattaforme per la ricerca del petrolio.
Il geografo Eugenio turri aveva brillantemente analizzato in Semiologia del
paesaggio italiano come una trasformazione violenta del paesaggio ad opera
della nostra civiltà tecnicista possa incidere sulla psicologia della
popolazione locale legata a quei luoghi
da generazioni. A questo una politica della bellezza dovrebbe tendere.
lunedì 18 aprile 2016
lunedì 4 aprile 2016
Dell'eleganza in città
Borgo ligure, acquarello su carta
Oggi un’altra
categoria in crisi è l’eleganza. Essa ha a che fare con la bellezza. Deriva dal
verbo latino elegere che è un rafforzativo di legere corrispondente sia all’italiano scegliere che leggere.
Eleganza vuol dunque significare saper
scegliere. E’ sinonimo di grazia, accuratezza, garbo, leggiadria, ricercatezza,
gentilezza. Il contrario di trascuratezza e sciatteria. Eleganza vuol dire
anche cura e attenzione. Un’architettura
elegante è quella che deriva da una cura particolare nella scelta delle misure,
dei rapporti geometrici, dei materiali e della decorazione. La sezione aurea,
per esempio, è il rapporto più elegante in natura, scoperto dagli egizi e dai
greci empiricamente. Misura è un’altra versione di eleganza. E’ elegante un
manifatto che denota energia non sprecata. Anche dal punto di vista statico è
elegante un’opera che mostra forza e al tempo stesso grazia, dove si intravede
studio e rispetto, dove un problema complesso è risolto con semplicità:
semplicità e complessità sono due opposti che la bellezza contiene e tende a far
coincidere, come altri, con eleganza. Coincidentia oppositorum, dichiara
Niccolo Cusano per denotare la bellezza divina. Ecco! eleganza come lettura divina, giusto
equilibrio fra gli opposti. A noi sembra
elegante un’opera umana che si contrappone alle forze naturali con il minimo
sforzo, come le cattedrali gotiche,, nelle quali le pietre pesanti sfidano la
forza di gravità e sembrano esaltare la leggerezza per raggiungere grandi
altezze. Ancora due opposti che si uniscono, pesantezza e leggerezza, come si
puo’ notare la bellezza è misteriosa. Oggi non c’è molta eleganza nella società
globalizzata, cosi come nell’architettura evento mediatico conseguente. (da L’altro
architetto, Casagrande editore)
martedì 15 marzo 2016
Della bioarchitettura
Antibes, acquerello su carta
Da tempo l’ecologia
da pura scienza della natura si sta
trasformando in un nuovo pensiero che investe anche le discipline umanistiche e
in generale tutta la cultura di questo inizio millennio. Ogni tanto nella
storia dell’uomo si presenta la necessità di cambiare il paradigma di partenza
per una nuova interpretazione della realtà che permetta un migliore adattamento
e uno scatto evolutivo. Di questi tempi è l’approccio sistemico bioecologico
che in tutti i settori sembra costituire la nuova opportunità. E’ inevitabile riflettere che questa nuova
opportunità è in effetti molto antica, ma la nostra cultura, protesa verso
altri traguardi l’ha trascurata. La sfida che oggi abbiamo di fronte è quella
dell’accettazione della complessità e non separatezza delle cose. Ogni
disciplina dunque puo’ essere riletta in questa chiave e l’architettura,
essendo per tradizione la meno specialistica, bene si adatta ad essere
rivisitata da un punto di vista ecologico ed olistico.
Questo scrivevo nella
premessa al mio libro L’uomo, l’ambiente, la casa. Verso un’etica bioecologica
dell’architettura, del 1992, Guerrini Editore.
E’ cambiato qualcosa? E’ evidente che no. Siamo ancora li’ a dire le
stesse cose come se non fossero passati
tutti questi anni. Gli architetti sono sempre più numerosi in Italia ma senza
lavoro e l’architettura è sempre più appannaggio di investitori con la vanità
di mostrare il proprio potere economico attraverso l’esibizione di edifici
eventi che si stagliano anomali sulla città. Azioni contro la città anzicchè al
servizio di essa. La cosidetta bioarchitettura, di cui noi siamo stati i
precursori, ha solo costituito un ulteriore modo per distinguersi, narcisistico
ed egoico, da parte di architetti e committenti che hanno voluto mettere in
mostra la loro originalità. In alcuni casi archistar internazionali, che mai
hanno mostrato sensibilità alla tematica ambientalista, ora si sono riciclati
in senso ecologico rivestendo i propri grattacieli di elementi naturali e
avanzate tecnologie pseudoecologiche. Qualcuno afferma che l’architetto
dovrebbe essere un’antenna sensibile ai cambiamenti e dunque quello che in anni
recenti era dettato dall’esaltazione del credo tecnoscientifico oggi è dettato
dalle mode eco. Ma in questo panorama
l’integrazione dell’architettura nella città viene tranquillamente dimenticata e l’architetto Carlo Ratti pensa di costruire un edificio di 1609 metri
coprendolo di elementi vegetali dei vari paesi, quasi un’Expo in verticale.
sabato 27 febbraio 2016
Moda e arte
La Santa, acquarello su carta, cm 30x40
Leggo sui giornali
che la moda ha adottato l’arte ma esiste una sostanziale differenza tra le due
benchè spesso la moda si definisca appannaggio dei creativi. Le mode infatti
(con questo intendo tutto cio’ che fa tendenza) enfatizzano le aspirazioni collettive
del momento e siccome questo è sempre intrecciato con il potere e con l’invidia
di esso, e dei suoi simboli, mettono in
scena quanto è status symbol del
momento. Che poi cambia per generare nuovi consumi, a volte visti con assolutismo
perchè si aspira ad un proprio potere. La moda quindi semplifica e falsa, dando
malessere e frustrazione se si trasferiscono su di essa i valori della vita. La
bellezza, che dovrebbe essere alla base della ricerca artistica, sta nella
diversità e nella complessità perchè funzionali alla vita. La moda dunque , se
viene investita delle nostre esigenze di
assoluto e la si trasforma in culto, allora diventa una droga per anestetizzare
i veri bisogni di unificazione. Alla
domanda quindi in che cosa consista la differenza tra moda ed arte si puo’
rispondere che la moda è una parodia dell’arte. Mentre la vera arte pesca nella
bellezza cosmica la moda cerca di costruire modelli cui aderire. Qualche volta
si serve dell’arte ma mentre quest’ultima scava in profondità e trova la natura estetica
dell’essere che dà libertà ed armonia, la prima utilizza il più delle volte il
fascino del potere per creare falsi modelli di perfezione e provoca
asservimento se non la si prende come un futile gioco. I giovani sono esposti a
questo in quanto sentono più forte il bisogno di appartenere a qualcosa di
esteriore: una comunità, un paese, una squadra ecc. Il bisogno religioso di bellezza, e
quindi cioè di unità interiore, negato si degrada dunque in bisogno di aderire
a modelli esteriori imposti. Tanto più
uno è diviso dentro e tanto più si attacca a modelli esterni che sono dei
sostituti di unità e quindi di amore. Si potrebbe dire che la moda è inerente
allo stato di coscienza ordinario, quello causale funzionale, l’arte invece è
tipica dello stato di coscienza acausale, simbolico e quindi
straordinario.L’arte cerca e trova, la moda cerca e, non trovando, imita. Il
fenomeno della moda è più eclatante nel campo dell’abbigliamento perchè
vestirsi è comune a tutti gli uomini, che bene o male soggiacciono alle mode,
ma esiste anche in tutti gli altri campi tipici dell’arte e soprattutto è
presente in quello che riguarda l’abitare, altra funzione connessa all’essere
uomini. Di per sè imitare non è assolutamente negativo, anzi. Anche un grande
poeta come Goethe difendeva l’imitazione purchè subordinata alla verità. Per
cui seguire mode non è in sè un male, a meno che non siano palesemente
distruttive o autolesive, ma come al solito tutto si complica quando viene
introdotto l’elemento potere. Se uno pensa
di acquisire più potere, quindi
prestigio, e si investe il fatto esteriore di un valore assoluto la moda allora
diventa competizione vitale: se riesci a seguirla sei qualcuno se no non sei
nessuno. In questo caso è un fattore alienante perchè impedisce la vera
crescita che è trovare il Sè, ovvero quella parte che ci mette in sintonia con
il mondo e con la natura, che è essenzialmente artistica e ci dà benessere ed
energia. L’arte vera infatti è sempre un’ operazione di risacralizzazione e quindi trasfigura i mezzi materiali di cui
si serve. La moda ha un fine economicistico e utilitaristico che si scontra con
le esigenze ecoantropologiche di equilibrio creativo. Nell’arte i mezzi
materiali diventano oggetti di culto, nelle mode vengono consumati, buttati e
finiscono nelle discariche.
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mercoledì 10 febbraio 2016
La crisi dell'amicizia
Infinito, olio su tela
Aristotele
distingueva tre tipi di amicizia, quella per l’utile, quella per il piacere e
quella vera disinteressata per il bene comune. Oggi possiamo affermare che
nella società del capitalismo avanzato e dei social-media, dove si chiede e si
dà l’amicizia via internet, trionfano le prime due ma è senza dubbio in grave
crisi l’ultima. Amici nella tradizione sono due persone che entrano in un
rapporto di intimità e di simpatia per aiutarsi e sostenersi. Non è mai stato
facile trovare un amico infatti un vecchio proverbio recita: chi trova un amico
trova un tesoro, a sottolineare che un vero amico è raro. Tuttavia in una
società meno competitiva, come quelle del passato, era sufficientemente possibile, oggi nella
nostra civiltà dei consumi è molto raro. E’ più raro di un rapporto d’amore. L’amicizia,
quella del terzo tipo, presuppone saggezza e distacco, un ego realizzato e una
buona dose di gioia fondamentale. Senza questi ingredienti si cade
nell’invidia, nella gelosia e nella rabbia. Tutte emozioni negative che
avvelenano l’amicizia. Un amico è colui
che prova piacere dei tuoi successi e dispiacere per le tue sconfitte e i tuoi
lutti ed è pronto a darti una mano. Invece si nota che nella nostra società
individualista ognuno tende sempre a misurarsi con l’amico in ragione di una
specie di gara verso il successo. Questo lo impariamo presto, a scuola i primi
anni ci insegnano a gareggiare nel profitto e gli insegnanti ci stimolano a
questo credendo cosi di ottenere di più. Ma non è cosi. Quando insegnavo avevo
adottato un metodo in cui il bravo doveva aiutare il meno bravo in un lavoro
collaborativo ottenendo risultati sorprendenti.
Tutti alla fine vogliamo essere felici, realizzarci, scoprire il
significato della nostra esistenza e compierlo, desideriamo che le altre persone ci amino e ci
rispettino e vogliamo sentirci sicuri. Il vero amico ha compreso questa nostra
uguaglianza e non si scandalizza se in questa ricerca ci allontaniamo per un
po’. Non è geloso e non prova invidia. Accetta
che ognuno ha un percorso diverso da compiere nella vita per la propria
realizzazione e, cosciente del proprio, non desidera sovrapporsi a quello
dell’altro, anzi è interessato a comprenderlo e sa che lo arricchisce perchè è
la manifestazione dello stesso Spirito che alberga in lui e prende diverse
forme. Il termine sanscrito “namastè”, che è un saluto indiano, vuol dire
proprio questo: riconosco in te lo spirito che è in me. Come si potrà notare
questa realtà amorosa è piuttosto rara. A volte si diventa amici perchè si hanno gli
stessi interessi e valori. Questo accade sovente in politica e fra maestri e
allievi ma questa amicizia tende a finire quando l’allievo si mette a competere
e vuole superare il maestro. Le virtù che reggono l’amicizia sono l’onestà, la
coerenza, la stima, la dignità, l’umiltà, la compassione, la comprensione, la
tolleranza e la generosità, tutti attributi lontani dalla egolatria imperante
nella nostra società individualista. Questo vale anche per le coppie nel rapporto erotico che in più hanno
l’attrazione sessuale e potrebbero rientrare nelle amicizie per piacere.
Infatti se non si matura una amicizia vera, con il passare del tempo e con
l’inevitabile caduta del desiderio, finiscono. Per quanto riguarda le coppie
etero poi si debbono superare due archetipi che dormono in ciascuno, dominano
il rapporto maschio femmina e influenzano sempre la scelta del partner: il mito
dell’eroe per lei e il mito della maga fascinatrice per lui. E arriviamo
all’amicizia dei politici. Quella la possiamo ascrivere in generale nella
categoria aristotelica dell’utile, in una mentalità dicotomica che divide la
realtà in amici e nemici in funzione del raggiungimento del potere. Queste amicizie
sono ovviamente transitorie e superficiali, ognuno pensa alla propria
convenienza e sono pompate dai mass-media e dai sostenitori. Torniamo ad
affermare che l’amicizia è una cosa seria per persone illuminate, rare oggi e
soprattutto fra i politici.
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lunedì 25 gennaio 2016
Poetica del paesaggio agricolo storico
Papillon, acquarello su carta
Oggi il naturale (nel senso di evoluzione senza intervento dell’uomo) non prevale più, è anzi in strettissima minoranza sulla crosta terrestre e in specie da noi in Europa, e in Italia in particolare, per cui quello che rimane è ormai cosi poco che è sempre bello interessante e necessario. Il concetto di bellezza insomma appare spostato dall’arte alla natura, mentre prima bella era solo l’arte e la natura era bella dove il concetto estetico dominante trovava la propria conferma. Per dirla con Kant “ La natura era bella quando aveva l’apparenza dell’arte. A dire il vero l’ambientalismo più serio oggi si accorge che non vi è contraddizione tra naturale e artificiale qualora l’uomo abbia interpretato le sue esigenze più profonde e non abbia dato libero sfogo al suoi impulsi distruttivi, infatti Kant aggiunge:”E l’arte non puo’essere bella se non quando noi, pur essendo coscienti che è arte la consideriamo come natura”. L’artificiale è il naturale trasformato e se è la creatività che ha prevalso (come profonda natura genuina dell’homo faber) dà altrettanto benessere che il naturale autentico, anzi lo stesso naturale autentico, come si diceva, risulta in questa logica prodotto di una scelta creativa dell’uomo che individua come necessario e bello lasciare le cose come stanno. In sostanza questo concetto è assimilabile al fare di coloro che creano opere d’arte raccogliendo e scegliendo elementi naturali per lasciarli cosi come sono. La creatività dell’uomo sta nella selezione, nella cernita, nel riconoscere la superiorità delle forze creatrici della natura, nell’essere umile e scoprire che in determinate circostanze è meglio non intervenire. Questo non significa disprezzare la propria opera modificatrice, anzi significa valorizzarla individuando dove questa è necessaria e quindi “bella” e dove no e quindi brutta. Passando dunque a considerare il paesaggio agricolo storico possiamo dire che esso è il risultato della modificazione del selvaggio mediante elementi naturali, o meglio, mediante elementi organici viventi. L’uomo è stato guidato nella trasformazione agricola da preoccupazioni ben lontane da intenti estetici coscienti, pero’ nel paesaggio storico si nota un aspetto caratteristico dell’attività umana: quando prevale la creatività, sia pure inconsapevole e determinata da necessità contingenti, si ha benessere psichico. L’attività agricola tradizionale, in effetti, costituiva l’incontro creativo tra l’uomo e la natura: essa viene conosciuta e incanalata verso una maggiore capacità di vita, ecco perchè il mondo rurale ha sempre destato sensazioni di benessere. L’agricoltura tradizionale ha si modificato l’ambiente naturale ma plasmandolo con le proprie mani nello sforzo umile e generoso di adattare il naturale ai bisogni fondamentali di vita e quindi a uno scopo creativo, non distruttivo.Le mani dell’uomo e la terra hanno costituito una sintesi che, mossa da questo fondamentale intento creativo di dare più vita, più fiori, più frutti, il più delle volte ha prodotto un risultato anche estetico. Spesso il paesaggio che ne deriva è il risultato di uno sforzo collettivo che inconsciamente è artistico se per arte con Carl G. Jung si intende la capacità di esprimere le forze primigenie del nostro inconscio collettivo che sono tensione tra materia e spirito, tra profano e religioso sempre alla ricerca di nuove sintesi al fine di una esperienza del tutto. O anche se, con William Morris, si afferma che l’arte è il prodotto della gioia del proprio lavoro a un fine creativo. Se ancora, per godimento estetico si intende la capacità , attraverso l’arte , di raggiungere l’intuizione del tutto e il sentimento dell’appartenenza quale visione, quale panorama più di quello di un paesaggio agricolo storico dona questa sensazione? Non per nulla un personaggio come Francesco d’Assisi, che è uno dei pochi esempi occidentali del sentimento dell’appartenenza, cresce in un ambiente antropico-naturale come l’Umbria che esprime ad altissimo livello la sintesi cui si è accennato. Tutto cambia con l’introduzione delle tecnoscienze in campo agricolo alimentare in epoca moderna.
Oggi il naturale (nel senso di evoluzione senza intervento dell’uomo) non prevale più, è anzi in strettissima minoranza sulla crosta terrestre e in specie da noi in Europa, e in Italia in particolare, per cui quello che rimane è ormai cosi poco che è sempre bello interessante e necessario. Il concetto di bellezza insomma appare spostato dall’arte alla natura, mentre prima bella era solo l’arte e la natura era bella dove il concetto estetico dominante trovava la propria conferma. Per dirla con Kant “ La natura era bella quando aveva l’apparenza dell’arte. A dire il vero l’ambientalismo più serio oggi si accorge che non vi è contraddizione tra naturale e artificiale qualora l’uomo abbia interpretato le sue esigenze più profonde e non abbia dato libero sfogo al suoi impulsi distruttivi, infatti Kant aggiunge:”E l’arte non puo’essere bella se non quando noi, pur essendo coscienti che è arte la consideriamo come natura”. L’artificiale è il naturale trasformato e se è la creatività che ha prevalso (come profonda natura genuina dell’homo faber) dà altrettanto benessere che il naturale autentico, anzi lo stesso naturale autentico, come si diceva, risulta in questa logica prodotto di una scelta creativa dell’uomo che individua come necessario e bello lasciare le cose come stanno. In sostanza questo concetto è assimilabile al fare di coloro che creano opere d’arte raccogliendo e scegliendo elementi naturali per lasciarli cosi come sono. La creatività dell’uomo sta nella selezione, nella cernita, nel riconoscere la superiorità delle forze creatrici della natura, nell’essere umile e scoprire che in determinate circostanze è meglio non intervenire. Questo non significa disprezzare la propria opera modificatrice, anzi significa valorizzarla individuando dove questa è necessaria e quindi “bella” e dove no e quindi brutta. Passando dunque a considerare il paesaggio agricolo storico possiamo dire che esso è il risultato della modificazione del selvaggio mediante elementi naturali, o meglio, mediante elementi organici viventi. L’uomo è stato guidato nella trasformazione agricola da preoccupazioni ben lontane da intenti estetici coscienti, pero’ nel paesaggio storico si nota un aspetto caratteristico dell’attività umana: quando prevale la creatività, sia pure inconsapevole e determinata da necessità contingenti, si ha benessere psichico. L’attività agricola tradizionale, in effetti, costituiva l’incontro creativo tra l’uomo e la natura: essa viene conosciuta e incanalata verso una maggiore capacità di vita, ecco perchè il mondo rurale ha sempre destato sensazioni di benessere. L’agricoltura tradizionale ha si modificato l’ambiente naturale ma plasmandolo con le proprie mani nello sforzo umile e generoso di adattare il naturale ai bisogni fondamentali di vita e quindi a uno scopo creativo, non distruttivo.Le mani dell’uomo e la terra hanno costituito una sintesi che, mossa da questo fondamentale intento creativo di dare più vita, più fiori, più frutti, il più delle volte ha prodotto un risultato anche estetico. Spesso il paesaggio che ne deriva è il risultato di uno sforzo collettivo che inconsciamente è artistico se per arte con Carl G. Jung si intende la capacità di esprimere le forze primigenie del nostro inconscio collettivo che sono tensione tra materia e spirito, tra profano e religioso sempre alla ricerca di nuove sintesi al fine di una esperienza del tutto. O anche se, con William Morris, si afferma che l’arte è il prodotto della gioia del proprio lavoro a un fine creativo. Se ancora, per godimento estetico si intende la capacità , attraverso l’arte , di raggiungere l’intuizione del tutto e il sentimento dell’appartenenza quale visione, quale panorama più di quello di un paesaggio agricolo storico dona questa sensazione? Non per nulla un personaggio come Francesco d’Assisi, che è uno dei pochi esempi occidentali del sentimento dell’appartenenza, cresce in un ambiente antropico-naturale come l’Umbria che esprime ad altissimo livello la sintesi cui si è accennato. Tutto cambia con l’introduzione delle tecnoscienze in campo agricolo alimentare in epoca moderna.
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